Torino si è svegliata con un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine nel quartiere Vanchiglia. All’alba, la polizia ha dato esecuzione allo sgombero e al sequestro dello storico centro sociale Askatasuna, situato nell’edificio di proprietà comunale di corso Regina Margherita 47, ponendo fine a un’occupazione durata quasi tre decenni. L’operazione, che ha visto l’impiego di centinaia di agenti, è scattata a seguito della rottura del “patto di collaborazione” siglato tra gli attivisti e l’amministrazione comunale.
La decisione di porre fine all’accordo è stata formalizzata dal sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, dopo che la Prefettura ha comunicato la violazione delle prescrizioni del patto. Durante una perquisizione, condotta nell’ambito di indagini su recenti episodi di protesta, le forze dell’ordine hanno infatti trovato sei attivisti al terzo piano dello stabile, un’area interdetta all’accesso perché dichiarata inagibile per motivi di sicurezza. Questa violazione è stata la causa scatenante che ha portato alla cessazione immediata del percorso di legalizzazione avviato a gennaio 2024 e rinnovato a marzo.
La Storia di Askatasuna: da Occupazione a “Bene Comune”
Per comprendere appieno la portata di questo evento, è necessario fare un passo indietro. La storia di Askatasuna (che in lingua basca significa “libertà”) inizia nel novembre del 1996, quando un gruppo di attivisti dell’area dell’Autonomia Contropotere occupò l’ex Opera Pia Reynero, un imponente edificio ottocentesco abbandonato dal 1981. Da allora, lo spazio è diventato uno dei centri sociali più noti e influenti d’Italia, un punto di riferimento per la galassia antagonista e un polo di aggregazione culturale e politica per il quartiere e la città.
Nel corso degli anni, Askatasuna è stato al centro di numerose iniziative, ma anche di diverse inchieste giudiziarie. I suoi militanti sono stati associati a etichette come squatter e black block, e coinvolti in indagini legate alla lotta No Tav in Val di Susa e ad altre manifestazioni di protesta. Di recente, il centro sociale si è distinto per l’organizzazione di manifestazioni a sostegno della causa palestinese, alcune delle quali sfociate in tensioni e finite al centro di nuove inchieste, come quelle per gli assalti alla redazione del quotidiano La Stampa e alle Officine Grandi Riparazioni (OGR).
Nonostante un passato complesso, segnato anche da un processo per associazione sovversiva (accusa poi derubricata in associazione a delinquere e infine caduta in primo grado per gli imputati), l’amministrazione comunale aveva tentato una via inedita. Nel gennaio 2024, era stato siglato un innovativo patto di collaborazione per i beni comuni. Questo accordo, gestito da un comitato di garanti, mirava a regolarizzare la presenza degli attivisti, consentendo lo svolgimento di attività sociali e culturali al solo piano terra dell’edificio e imponendo il divieto assoluto di utilizzare i tre piani superiori, considerati pericolanti. Un esperimento politico e amministrativo che, nelle intenzioni del sindaco Lo Russo, avrebbe dovuto “risolvere una questione rimasta ferma per ventinove anni” e restituire alla città una funzione pubblica per quell’immobile.
Le Ragioni dello Sgombero e le Reazioni
L’operazione di sgombero non è arrivata come un fulmine a ciel sereno, ma si inserisce in un contesto di crescente tensione. Le perquisizioni che hanno portato alla scoperta degli attivisti ai piani superiori erano infatti legate alle indagini sugli assalti avvenuti durante i cortei pro-Palestina. La violazione del patto è stata quindi la leva formale che ha permesso di procedere con un’azione a lungo richiesta da una parte dell’arco politico.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha commentato l’operazione come un “segnale chiaro” contro la violenza. Da parte del centro sociale e dei movimenti solidali, si è parlato di un “attacco politico” volto a reprimere il dissenso, in particolare quello a favore della Palestina. Nel pomeriggio successivo allo sgombero, un corteo di protesta ha attraversato le vie del quartiere Vanchiglia, con momenti di tensione e scontri con le forze dell’ordine, che hanno risposto con idranti e lacrimogeni al lancio di oggetti e al rovesciamento di cassonetti.
Il sindaco Lo Russo, pur prendendo atto della fine del percorso di collaborazione, ha ribadito la bontà dell’approccio basato sul dialogo, affermando di credere ancora in un futuro per l’edificio di corso Regina 47 come spazio a vocazione sociale e pubblica, aperto al quartiere e alla città.
Il Contesto Culturale e Politico: l’Eredità dell’Autonomia
La vicenda di Askatasuna non può essere disgiunta dalla sua matrice politica: l’Autonomia Operaia. Questo movimento della sinistra extraparlamentare, particolarmente attivo negli anni ’70, ha rappresentato una rottura con la sinistra tradizionale, proponendo forme di lotta e di organizzazione alternative sia al Partito Comunista Italiano che ai sindacati. L’Autonomia non era un partito strutturato, ma un’area magmatica che univa lotte operaie, movimenti studenteschi e collettivi territoriali, caratterizzata da una forte critica alle istituzioni e da pratiche di conflitto sociale.
Askatasuna, come altre esperienze di centri sociali in Italia, può essere considerato un erede di quella stagione politica, avendone reinterpretato le istanze nel contesto post-ideologico. Ha incarnato per decenni un modello di autogestione e di mutualismo, offrendo spazi per concerti, dibattiti, sportelli di consulenza e iniziative di solidarietà, ma anche ponendosi come epicentro di lotte considerate radicali, come quella contro la TAV. Questa duplicità, tra anima sociale e militanza “dura”, ha sempre caratterizzato il centro sociale, rendendolo un interlocutore complesso per le istituzioni e un bersaglio per i detrattori.
La fine dell’occupazione di corso Regina Margherita 47 chiude un capitolo importante per la città di Torino e per i movimenti antagonisti italiani. Resta da vedere quale sarà il futuro dell’edificio e se le energie politiche e culturali che animavano Askatasuna troveranno nuove forme e nuovi spazi per esprimersi.
