Un’offesa profonda non solo al patrimonio economico, ma anche a quello culturale e simbolico del nostro Paese. Un’indagine complessa e capillare, partita da una denuncia per truffa ai danni dell’Opera di Santa Maria del Fiore Onlus, ha permesso alla Polizia di Stato di scoperchiare un’organizzazione criminale transnazionale capace di movimentare, in appena sei mesi, un flusso di denaro illecito stimato in circa 30 milioni di euro. L’operazione, coordinata dalla Procura della Repubblica di Brescia, si è conclusa con l’esecuzione di nove fermi di indiziato di delitto e numerose perquisizioni in sette province italiane.

L’origine delle indagini: la truffa “Man in the Middle” al cuore di Firenze

Tutto ha avuto inizio nel marzo del 2025, quando i vertici dell’ente che gestisce la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni a Firenze, hanno sporto denuncia. L’Opera era caduta vittima di una sofisticata frode informatica nota come “man in the middle” o “business e-mail compromise”. I criminali si erano inseriti nelle comunicazioni via email tra la Onlus e un’impresa incaricata dei lavori di restauro del Complesso Eugeniano di Firenze. Con l’inganno, hanno indotto l’amministrazione a effettuare bonifici per un totale di 1.785.000 euro verso un conto corrente fittizio, apparentemente intestato alla ditta fornitrice ma in realtà nella piena disponibilità dell’organizzazione. Come ricostruito dal procuratore capo di Brescia, Francesco Prete, l’IBAN utilizzato per dirottare i fondi era appoggiato su una banca di Lumezzane, in provincia di Brescia, elemento che ha radicato la competenza dell’indagine in Lombardia.

Una rete criminale ramificata e un sistema collaudato

Seguendo il flusso di quel denaro, gli investigatori della Squadra Mobile di Brescia hanno disvelato uno scenario ben più vasto e allarmante. La truffa all’Opera del Duomo era solo la punta dell’iceberg di un collaudato meccanismo di riciclaggio e autoriciclaggio. L’organizzazione, composta da cittadini italiani, albanesi, cinesi e nigeriani, utilizzava un sistema di società “cartiere” per emettere fatture per operazioni inesistenti. Le aziende clienti, complici del sistema, pagavano le fatture tramite bonifico e ricevevano indietro il denaro in contanti, al netto di una commissione per il “servizio” che oscillava tra il 2% e il 7%.

I fermi e le 21 perquisizioni aggiuntive sono scattati all’alba nelle province di:

  • Brescia
  • Milano
  • Bergamo
  • Lodi
  • Prato
  • Rieti
  • Vicenza

Un decimo soggetto, anch’esso destinatario del provvedimento, risulta al momento irreperibile ed è attivamente ricercato in Italia e all’estero. Durante le operazioni sono stati sequestrati circa mezzo milione di euro in contanti, che si sommano ad altri 197.220 euro già intercettati a settembre addosso a una cittadina cinese. La base logistica del gruppo è stata individuata in un appartamento di Milano, intestato a una donna cinese, descritto dagli inquirenti come un vero e proprio “centro di stoccaggio del denaro contante”. In una delle perquisizioni, nel tentativo di disfarsi delle prove, gli indagati hanno persino lanciato pacchi di banconote dalla finestra per un valore di circa 250.000 euro.

L’espansione dei circuiti finanziari paralleli

L’inchiesta ha messo in luce un aspetto particolarmente inquietante del riciclaggio internazionale: il ruolo crescente di circuiti finanziari paralleli, spesso gestiti da gruppi criminali cinesi, che operano come vere e proprie “banche occulte”. Questi sistemi sono in grado di movimentare enormi quantità di contante al di fuori di ogni canale tracciabile, utilizzando conti correnti aperti in numerosi paesi, tra cui Cina, Lussemburgo, Polonia, Germania, Spagna, Lituania, Nigeria e Croazia. L’indagine ha inoltre collegato parte del denaro riciclato a una seconda frode informatica ai danni di una società della Repubblica Ceca, a dimostrazione della natura internazionale e poliedrica delle attività del gruppo.

L’Opera di Santa Maria del Fiore, in una nota ufficiale, ha ringraziato la Procura di Brescia per l’importante lavoro svolto, sottolineando come la loro denuncia sia stata fondamentale per avviare le indagini. L’ente si è dichiarato parte lesa, insieme ad alcuni fornitori, per un importo complessivo di circa 1,4 milioni di euro.

Di veritas

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