
Il caso Habashy: una scarcerazione tardiva
La vicenda di Habashy Rashed Hassan Arafa, cittadino egiziano condannato per essere uno scafista, solleva interrogativi inquietanti sul sistema di assistenza sanitaria all’interno delle carceri italiane. Detenuto dal 2021 nel carcere di Arghillà, a Reggio Calabria, Habashy è stato rilasciato il 24 febbraio scorso, a soli dieci giorni dalla fine della sua pena, in condizioni di salute gravissime. Affetto da un tumore in fase avanzata, l’uomo è stato trasferito d’urgenza nel reparto di Oncologia dell’ospedale di Locri e successivamente, su richiesta del primario, accolto a Riace grazie all’intervento dell’ex sindaco Mimmo Lucano.
La denuncia di Mimmo Lucano: “Voglio capire”
L’europarlamentare Mimmo Lucano, accompagnato dal suo staff legale, ha voluto vederci chiaro recandosi direttamente nel carcere di Arghillà. “Voglio capire come una persona arriva al quarto stadio di una malattia devastante e viene scarcerato solo a dieci giorni dalla fine della pena”, ha dichiarato Lucano, esprimendo forti dubbi sull’adeguatezza delle cure prestate ad Habashy durante la detenzione. Secondo quanto riferito dallo stesso detenuto, le sue ripetute segnalazioni di malessere sarebbero rimaste inascoltate a causa della barriera linguistica e della difficoltà di distinguere tra reali problemi di salute e semplici lamentele.
Le condizioni di Habashy e l’intervento tardivo
Le note del direttore della Casa circondariale e del coordinatore sanitario evidenziano un peggioramento delle condizioni di Habashy già a gennaio. Tuttavia, solo a ridosso della scadenza della pena è stata disposta la sua scarcerazione, motivata dalla “non compatibilità” delle sue condizioni di salute con il regime detentivo. Una decisione che, secondo Lucano, arriva troppo tardi e solleva interrogativi sulla tempestività e l’efficacia dell’assistenza medica fornita al detenuto.
La versione del carcere e i dubbi di Lucano
Durante l’incontro con i vicecomandanti della polizia penitenziaria, Lucano ha raccolto la versione dell’istituto, secondo cui sarebbe difficile distinguere tra le reali emergenze mediche e le comuni lamentele dei detenuti. Tuttavia, Lucano resta perplesso, soprattutto alla luce delle informazioni ricevute sul presunto interessamento del dirigente medico nel sollecitare il ricovero di Habashy. “Non si capisce perché non lo hanno fatto prima”, ha sottolineato Lucano, che ora si impegna a portare il caso all’attenzione delle istituzioni europee.
Un caso di presunta ingiustizia e violazione dei diritti umani
Lucano non si esprime sulla colpevolezza di Habashy in merito all’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma insiste sulla necessità di garantire a tutti i detenuti, indipendentemente dal reato commesso, il diritto alla salute e a cure adeguate. “Invece di stare dentro un carcere, aveva bisogno di essere portato in un ospedale per essere curato. Magari non sarebbe arrivato al quarto stadio”, ha affermato Lucano, definendo il caso di Habashy una “forte ingiustizia, un’evidente violazione dei diritti umani”. L’europarlamentare si impegna a dare voce alla vicenda di Habashy, anche in considerazione dei suoi cinque figli in Egitto, auspicando un’indagine approfondita per accertare eventuali responsabilità.
Riflessioni su un sistema che deve garantire la dignità umana
La storia di Habashy Rashed Hassan Arafa è un campanello d’allarme che richiama l’attenzione sulla necessità di garantire standard elevati di assistenza sanitaria all’interno delle carceri. Al di là delle responsabilità individuali, è fondamentale che il sistema penitenziario sia in grado di tutelare la dignità umana e il diritto alla salute di ogni detenuto, assicurando tempestività ed efficacia negli interventi medici. Casi come questo ci spingono a interrogarci sull’effettivo rispetto dei diritti fondamentali all’interno delle nostre carceri e sulla necessità di un impegno costante per migliorare le condizioni di vita e di cura dei detenuti.