Roma – Il finale d’anno si rivela incandescente per la maggioranza di governo, stretta tra le scorie delle recenti tensioni sulla manovra economica e il nuovo fronte di scontro aperto dal decreto per la proroga degli aiuti all’Ucraina. La premier Giorgia Meloni, ancora irritata per il caos notturno al Senato, cerca di blindare il sostegno a Kiev, ma deve fare i conti con l’alleato leghista che, per voce del suo leader Matteo Salvini, chiede a gran voce una “discontinuità” rispetto al passato. Il nodo del contendere è la natura degli aiuti: non più solo armi, ma un’enfasi maggiore su supporto logistico e aiuti destinati alla popolazione civile.
Il Consiglio dei Ministri, previsto per il 29 dicembre, sarà la sede del confronto decisivo. Sul tavolo, un provvedimento che prorogherà di un altro anno la facoltà del governo di inviare mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, nel solco di una politica che in quasi quattro anni ha già visto la partenza di dodici pacchetti di rifornimenti. Tuttavia, la Lega punta a modificare l’impostazione del decreto, inserendo un chiaro riferimento al carattere “difensivo” delle forniture e a un maggiore impegno sul fronte umanitario, come l’invio di generatori elettrici per far fronte all’inverno. Una posizione che riflette la storica insofferenza di una parte del Carroccio verso un sostegno militare a oltranza e le aperture verso Mosca.
Il monito di Meloni: “Si vis pacem, para bellum”
In questo clima di fibrillazione, non sono passate inosservate le parole della Presidente del Consiglio. Durante un videocollegamento con i contingenti militari italiani all’estero, Giorgia Meloni ha rispolverato l’antica locuzione latina “si vis pacem, para bellum” (“se vuoi la pace, prepara la guerra”). Un messaggio che la premier ha voluto chiarire non essere “bellicista”, bensì “pragmatico”. “Solo una forza militare credibile allontana la guerra”, ha affermato, sottolineando come “il dialogo, la diplomazia, le buone intenzioni certo servono ma devono poggiare su basi solide”. Un avvertimento rivolto tanto all’esterno quanto, e forse soprattutto, agli alleati di governo, per ribadire che la linea di fermezza e il sostegno all’Ucraina non sono in discussione. L’Italia, ha confermato, non invierà truppe sul terreno, ma il supporto a Kiev proseguirà.
Le scorie della manovra e i nervi tesi nella maggioranza
Il braccio di ferro sul decreto Ucraina si innesta su un terreno già minato dalle recenti tensioni sulla legge di bilancio. Il “caos” in Senato, in particolare sull’emendamento relativo alle pensioni, ha lasciato strascichi e irritazione a Palazzo Chigi. Giovanni Donzelli, responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, ha tentato di minimizzare, parlando di “divergenze tra il ministro Giorgetti della Lega e alcuni parlamentari dello stesso partito”, assicurando che “sulla politica estera, come sul resto, non abbiamo mai votato in modo difforme”. Una lettura prontamente contestata dal capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo, che ha respinto il tentativo di individuare nella Lega l’unico “capro espiatorio”.
In questo contesto, la mediazione all’interno della maggioranza è affidata a figure chiave come il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. L’obiettivo è trovare una formula che salvi la sostanza del sostegno militare, concedendo però alla Lega una vittoria politica sul piano della comunicazione, con un testo che parli di aiuti “principalmente civili”. Una distinzione che, tuttavia, viene vista con scetticismo dal Ministro della Difesa, Guido Crosetto, per il quale la differenza tra armi “offensive” e “difensive” è labile quando si tratta di resistere a un’aggressione. Anche Forza Italia, con il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, si muove su una linea di equilibrio, parlando di aiuti “prevalentemente” civili, senza però escludere la componente militare.
Le possibili soluzioni e le incognite future
Mentre l’opposizione, con Enrico Borghi di Italia Viva, profetizza che “gli scossoni nella maggioranza continueranno”, si lavora a un compromesso. L’ipotesi di un decreto a validità trimestrale, avanzata dalla Lega per avere un controllo più stringente, sembra essere stata accantonata. La soluzione più probabile è un preambolo o un articolo aggiuntivo nel decreto che enfatizzi il sostegno alla popolazione civile e il fine difensivo delle forniture militari. Questo permetterebbe a Salvini di rivendicare una “discontinuità” e a Meloni di non arretrare sugli impegni internazionali presi in ambito NATO e Unione Europea.
Resta da vedere se questa “tregua di Natale” basterà a placare le tensioni o se le divergenze strategiche sulla politica estera e sulla gestione dei rapporti interni alla coalizione torneranno a manifestarsi. Il Consiglio dei Ministri del 29 dicembre non sarà solo un passaggio tecnico per la proroga di un decreto, ma un vero e proprio test per la tenuta politica del governo Meloni.
