Il dibattito sul Ponte sullo Stretto di Messina si infiamma nuovamente, scosso da due eventi cruciali che ne mettono in discussione l’immediato futuro: un intervento del Governo sulla manovra finanziaria e le pesanti motivazioni depositate dalla Corte dei Conti. Da un lato, l’esecutivo ha presentato un emendamento che fa slittare 780 milioni di euro di finanziamenti al 2033. Dall’altro, i magistrati contabili hanno reso note le ragioni della bocciatura, avvenuta il 17 novembre scorso, del terzo atto aggiuntivo che regola i rapporti tra il Ministero dei Trasporti e la società concessionaria Stretto di Messina S.p.A., definendolo “incompatibile” con le norme dell’Unione Europea.
Lo slittamento dei fondi e la reazione del Governo
Con una mossa che ha subito innescato un acceso scontro politico, il Governo ha deciso di modificare il cronoprogramma finanziario dell’opera. L’emendamento alla manovra sposta una quota significativa di risorse, pari a 780 milioni di euro, a un orizzonte temporale molto più lontano, il 2033. Nonostante questo rinvio, fonti governative e l’amministratore delegato della società Stretto di Messina, Pietro Ciucci, si sono affrettati a precisare che non si tratta di un definanziamento. Secondo Ciucci, il provvedimento “ribadisce l’impegno” dell’esecutivo per la realizzazione del ponte, confermando gli stanziamenti complessivi per un valore totale di 13,5 miliardi di euro. La modifica, si legge nella relazione tecnica, si è resa necessaria per adeguare il cronoprogramma all’aggiornamento dell’iter amministrativo, proprio in conseguenza dello stop imposto dalla Corte dei Conti.
Le motivazioni della Corte dei Conti: un macigno sull’iter
Contemporaneamente alla discussione sulla manovra, sono state depositate le attese motivazioni della Corte dei Conti, che fanno luce sui motivi della mancata registrazione del terzo atto aggiuntivo alla convenzione. I rilievi dei magistrati sono molteplici e di notevole peso, mettendo in discussione la legittimità stessa dell’attuale assetto contrattuale.
I punti principali sollevati dalla Corte sono:
- Incompatibilità con le norme UE: Il nodo centrale è la violazione della direttiva europea 2014/24/UE, che disciplina le modifiche dei contratti pubblici in corso di validità. Secondo la Corte, “riesumare” un contratto dopo undici anni con condizioni radicalmente cambiate rappresenta un’ipotesi “assolutamente eccezionale” che avrebbe richiesto una nuova gara d’appalto.
- Incertezza sui costi: I giudici hanno espresso forti perplessità sulla stima degli aggiornamenti progettuali, quantificata in 787,3 milioni di euro. Questa cifra, definita frutto di una “mera stima”, espone al rischio di ulteriori aumenti che potrebbero superare la soglia del 50% del valore del contratto iniziale, limite massimo consentito dalle norme per le variazioni.
- Modifica sostanziale del contratto: Un altro punto critico riguarda la struttura finanziaria dell’opera. Originariamente, era previsto un contributo dei privati per il 60%, mentre oggi il progetto è “interamente” a carico di fondi pubblici. Questa, per la Corte, è una “modifica sostanziale” che avrebbe potuto attrarre concorrenti diversi se fosse stata nota fin dall’inizio.
Opposizioni all’attacco, Salvini difende l’opera
La reazione delle opposizioni è stata immediata e durissima. Il leader di Avs, Angelo Bonelli, ha parlato di “architettura finanziaria del Ponte che cade” e di un “disastro compiuto da Matteo Salvini”, sostenendo che ora sarà necessario un nuovo progetto e una nuova gara. Sulla stessa linea il Movimento 5 Stelle, con il vicepresidente della Camera Sergio Costa che vede nell’emendamento la prova che il progetto è “irrealizzabile”. Anche la Cgil Sicilia ha definito la vicenda una “farsa” e uno “scippo di risorse” ai danni della regione.
Dal canto suo, il vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, ha difeso a spada tratta il progetto. Inaugurando due nuove stazioni della Metro C a Roma, ha tracciato un parallelo, chiedendosi perché un’opera come la metropolitana unisca il paese mentre il Ponte lo divida. “Lo stesso diritto non lo hanno i siciliani?”, ha domandato, auspicando che lo spirito che ha permesso di realizzare le opere a Roma possa animare la politica anche per il Ponte.
Il futuro del Ponte sullo Stretto appare oggi più incerto che mai. La decisione del Governo di posticipare una parte dei fondi, unita alle severe obiezioni della Corte dei Conti, apre scenari complessi. Se da un lato l’esecutivo conferma la volontà politica di procedere, dall’altro gli ostacoli giuridici e procedurali sollevati dai magistrati contabili sembrano richiedere una profonda revisione dell’intero impianto, se non un completo riavvio dell’iter, come richiesto a gran voce dalle opposizioni. La strada per unire la Sicilia al continente è, ancora una volta, lunga e in salita.
