Washington – In una clamorosa dichiarazione rilasciata durante un’intervista al Wall Street Journal, l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha affermato di aver utilizzato la minaccia dei dazi commerciali per mediare e ripristinare una tregua tra Thailandia e Cambogia, due nazioni del sud-est asiatico da tempo coinvolte in dispute territoriali. “Ho appena usato i dazi 10 minuti fa, poco prima che lei arrivasse, per risolvere la nuova fiammata avvenuta con Thailandia e Cambogia”, ha dichiarato Trump, aggiungendo di aver avvertito entrambi i paesi che un’escalation militare avrebbe comportato non solo la rottura degli accordi commerciali esistenti, ma anche l’imposizione di pesanti tariffe. “Nessuno può farlo tranne me”, ha concluso con il suo consueto stile assertivo.
Tuttavia, a dispetto delle parole di Trump, la situazione sul confine tra i due paesi rimane estremamente tesa e volatile. Fonti ufficiali sia thailandesi che cambogiane hanno smentito un’effettiva cessazione delle ostilità, riportando anzi il proseguimento degli scontri a fuoco lungo la frontiera comune. Questa discrepanza tra le affermazioni dell’ex presidente e la realtà sul terreno solleva importanti interrogativi sulla natura e l’efficacia del suo intervento diplomatico.
Il Contesto: Una Disputa di Lunga Data
Le tensioni tra Thailandia e Cambogia non sono una novità. I due regni condividono un confine di circa 800 chilometri, la cui demarcazione è stata fonte di conflitto per oltre un secolo, con radici che affondano nel periodo coloniale francese. Il fulcro della disputa è spesso stato il tempio di Preah Vihear, un sito archeologico di inestimabile valore storico e culturale. Nel 1962, la Corte Internazionale di Giustizia assegnò la sovranità del tempio alla Cambogia, una decisione che la Thailandia ha sempre contestato, rivendicando la sovranità sulle aree circostanti.
Negli ultimi anni, queste tensioni si sono riaccese periodicamente, sfociando in scontri armati che hanno causato vittime da entrambe le parti, sia tra i militari che tra i civili, e costringendo centinaia di migliaia di persone a lasciare le proprie case. Nonostante i tentativi di mediazione, inclusi quelli promossi dall’Associazione delle Nazioni del Sud-est Asiatico (ASEAN), una soluzione duratura appare ancora lontana.
La “Diplomazia dei Dazi” di Trump: Un Precedente Controverso
L’approccio di Donald Trump, che lega strettamente la politica commerciale alla diplomazia e alla sicurezza internazionale, non è nuovo. Durante la sua presidenza, ha fatto ampio uso dei dazi come strumento di pressione per rinegoziare accordi commerciali, in particolare con la Cina, ma anche con alleati storici come l’Unione Europea. Questa strategia, spesso definita “guerra commerciale”, ha generato reazioni contrastanti a livello globale, con alcuni analisti che ne hanno lodato l’audacia e altri che ne hanno criticato l’imprevedibilità e i potenziali danni all’economia mondiale.
Nel contesto della crisi tra Thailandia e Cambogia, la minaccia dei dazi rappresenta un’estensione di questa filosofia. L’idea è quella di utilizzare la leva economica, di cui gli Stati Uniti dispongono ampiamente, per costringere le parti in conflitto a negoziare e a deporre le armi. Un approccio che, secondo Trump, si sarebbe già dimostrato efficace in passato, come nel caso della mediazione di un cessate il fuoco a luglio, sempre tra i due stessi paesi.
La Realtà sul Campo: Scontri e Smentite
Nonostante le dichiarazioni trionfalistiche, le notizie provenienti dalla regione raccontano una storia diversa. I governi di Thailandia e Cambogia, pur riconoscendo i contatti diplomatici, hanno di fatto smentito la versione di Trump. I combattimenti, infatti, non solo non si sono fermati, ma in alcune aree si sono addirittura intensificati, con scambi di artiglieria e operazioni militari che continuano a mietere vittime. Le autorità thailandesi hanno dichiarato un coprifuoco in alcune province di confine e hanno accusato la Cambogia di aver iniziato le ostilità. Dal canto suo, Phnom Penh ha respinto le accuse, puntando il dito contro le forze di Bangkok.
Questa situazione evidenzia i limiti di un approccio diplomatico che si basa principalmente sulla minaccia economica, senza un’adeguata comprensione delle complesse dinamiche locali e delle profonde radici storiche del conflitto. La disputa tra Thailandia e Cambogia è intrisa di nazionalismo e di questioni identitarie che non possono essere risolte semplicemente con la prospettiva di sanzioni commerciali.
Le Implicazioni per la Stabilità Regionale e il Ruolo degli USA
Il fallimento, almeno apparente, della mediazione di Trump potrebbe avere ripercussioni significative sulla stabilità del sud-est asiatico e sulla percezione del ruolo degli Stati Uniti nella regione. In un’area dove la Cina sta espandendo la propria influenza economica e politica, l’inaffidabilità della diplomazia americana potrebbe spingere i paesi dell’ASEAN a cercare altri interlocutori.
La politica estera di Trump, caratterizzata da un approccio transazionale e spesso unilaterale, rischia di alienare partner storici e di creare un vuoto di potere che altre potenze, come Pechino, sono pronte a colmare. La credibilità degli Stati Uniti come mediatore imparziale e affidabile è messa in discussione, e questo potrebbe avere conseguenze a lungo termine ben più gravi di una disputa di confine, per quanto sanguinosa.
In conclusione, mentre Donald Trump rivendica un successo diplomatico ottenuto grazie alla sua politica dei dazi, la realtà sul confine tra Thailandia e Cambogia suggerisce un quadro molto più incerto e preoccupante. La crisi è tutt’altro che risolta e la “diplomazia del martello” sembra, per ora, aver prodotto più rumore che risultati concreti, lasciando aperte profonde incognite sul futuro della regione e sul ruolo che gli Stati Uniti intendono giocarvi.
