SAN GENNARO VESUVIANO (NAPOLI) – Le prime luci dell’alba del 10 dicembre hanno squarciato il velo su una realtà di degrado e sfruttamento disumano nel cuore della provincia napoletana. A San Gennaro Vesuviano, in via Nola, i Carabinieri hanno fatto irruzione in una palazzina di tre piani che, dietro un’apparenza anonima, nascondeva un vero e proprio “opificio-lager”. Al suo interno, 76 operai, in gran parte di origine straniera, erano costretti a vivere e lavorare in condizioni igienico-sanitarie terrificanti. L’operazione, frutto di un’accurata attività investigativa, ha portato alla denuncia in stato di libertà di 11 persone.
LA SCOPERTA: UN INFERNO SU TRE PIANI
Quello che si sono trovati di fronte i militari della stazione locale, coadiuvati dal Nucleo Forestali di Roccarainola, dal Nucleo Ispettorato del Lavoro (NIL), dalla Polizia Locale e da personale tecnico di Enel e dell’Asl, è stato uno scenario agghiacciante. L’edificio era un ibrido mostruoso: un opificio tessile completamente abusivo al piano terra e, ai piani superiori, dormitori di fortuna dove gli operai venivano ammassati.
Le stanze, originariamente concepite come appartamenti, erano state trasformate in alloggi fatiscenti. I militari hanno descritto ambienti segnati da umidità, scarsa aerazione, letti improvvisati e servizi igienici ridotti all’osso, del tutto insufficienti per il gran numero di persone presenti. La vita di questi lavoratori sembrava scorrere unicamente al ritmo incessante dei turni di lavoro imposti dalla fabbrica sottostante. In un angolo di questo degrado, quasi a voler disperatamente preservare un barlume di identità e dignità, era stato ricavato anche un piccolo spazio dedicato al culto islamico.
L’OPIFICIO ABUSIVO E LE CONDIZIONI DI LAVORO
Al piano terra pulsava il cuore di questo sistema di sfruttamento: una fabbrica tessile priva di qualsiasi autorizzazione e in palese violazione di ogni norma sulla sicurezza. Macchinari in funzione erano nascosti sotto una tettoia, anch’essa illegale, costruita per celare l’attività agli sguardi esterni. A rendere il quadro ancora più grave, l’intera struttura era alimentata da un pozzo artesiano scavato abusivamente, senza alcun criterio né permesso. Da qui veniva prelevata l’acqua utilizzata sia per le esigenze produttive dell’opificio sia per l’uso personale dei 76 operai, con rischi sanitari incalcolabili.
LE ACCUSE E IL SEQUESTRO
L’operazione congiunta ha permesso di smantellare l’intera filiera dell’illegalità. Le 11 persone denunciate, tra cui figurano i proprietari dell’immobile e i gestori dell’attività, dovranno rispondere di accuse pesantissime. I reati contestati vanno dall’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (il cosiddetto “caporalato“) alle violazioni delle norme in materia urbanistica, ambientale e di sicurezza sui luoghi di lavoro.
L’intera struttura, dal valore ancora da quantificare, è stata posta sotto sequestro penale. Per i 76 lavoratori, liberati da questa condizione di schiavitù moderna, si apre ora un difficile percorso di assistenza e, si spera, di regolarizzazione, volto a restituire loro i diritti e la dignità calpestati.
UN FENOMENO DIFFUSO: IL CAPORALATO NEL TESSILE
Questo episodio di cronaca riaccende i riflettori sul fenomeno del caporalato, una piaga che non affligge solo il settore agricolo ma che è profondamente radicata anche in altri comparti, come quello tessile e manifatturiero. La provincia di Napoli, con il suo fitto tessuto di piccole e medie imprese, si rivela spesso un terreno fertile per queste forme di sfruttamento, dove la manodopera, spesso straniera e in condizioni di vulnerabilità, viene impiegata in nero, con paghe da fame e in condizioni di lavoro e di vita inaccettabili. L’operazione di San Gennaro Vesuviano è un monito che evidenzia come, anche nel 2025, la schiavitù possa nascondersi dietro la facciata di una palazzina qualunque, richiedendo una vigilanza costante e un impegno collettivo per la legalità e la tutela dei diritti umani fondamentali.
