Ortona – Un nuovo capitolo si aggiunge alla complessa e tesa vicenda dei soccorsi nel Mar Mediterraneo. La nave Humanity 1, operata dall’organizzazione non governativa tedesca SOS Humanity, è stata colpita da un provvedimento di fermo amministrativo di 20 giorni e da una sanzione pecuniaria di 10.000 euro. La decisione delle autorità italiane è giunta dopo lo sbarco di 85 persone nel porto di Ortona, in provincia di Chieti, avvenuto lo scorso primo dicembre. Il provvedimento, emesso dalla Prefettura di Chieti, contesta alla ONG di essersi “intenzionalmente” rifiutata di comunicare con il Centro di coordinamento del soccorso marittimo libico durante un’operazione di salvataggio del 26 novembre, nonostante l’invito delle autorità italiane.
La posizione di SOS Humanity e la denuncia contro la Libia
La reazione di SOS Humanity non si è fatta attendere. L’ONG ha definito il fermo un “pericoloso precedente” e un attacco al soccorso civile, annunciando un’azione legale per contestare la decisione. “Mentre gli attori criminali libici continuano a ricevere il sostegno dell’Europa, la Humanity 1, di cui c’è urgente bisogno, viene trattenuta per non aver comunicato con le autorità libiche,” ha affermato Marie Michel, esperta politica di SOS Humanity. L’organizzazione sottolinea come le entità libiche violino sistematicamente il diritto internazionale, mettendo a rischio la vita delle persone in mare e minacciando persino le navi di soccorso.
A sostegno di questa tesi, viene citato un recente episodio in cui la nave Louise Michel è stata minacciata con munizioni vere dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. “Coordinarsi con loro significherebbe mettere in pericolo le persone in cerca di protezione e l’equipaggio della nostra nave,” ha aggiunto Michel, puntando il dito contro le autorità italiane e l’Unione Europea per il sostegno a “milizie violente”.
La Humanity 1 è la prima nave della “Justice Fleet” a essere sanzionata per aver interrotto le comunicazioni con le autorità di Tripoli. Questa alleanza, composta da 13 ONG europee, ha deciso di non collaborare più con il centro di coordinamento libico, accusato di gravi violazioni dei diritti umani.
Il contesto legale e politico: il Decreto Piantedosi
Il fermo della Humanity 1 si inserisce nel quadro normativo del cosiddetto “Decreto Piantedosi”, introdotto a inizio 2023. Questa legge ha imposto nuove e più stringenti regole per le navi delle ONG, tra cui l’obbligo di dirigersi senza indugio verso il porto sicuro assegnato dopo un salvataggio, spesso situato a grande distanza dalla zona delle operazioni. Dall’entrata in vigore del decreto, si sono accumulati oltre 960 giorni di fermo per 36 navi e 2 aerei umanitari. L’obiettivo, secondo le ONG, è quello di ostacolare il soccorso civile e rimuovere testimoni scomodi dal Mediterraneo centrale.
Tuttavia, la magistratura italiana sta iniziando a frenare questa macchina sanzionatoria. In una vicenda parallela, l’11 dicembre il Tribunale di Agrigento ha sospeso il fermo amministrativo di 60 giorni e la multa di 10.000 euro inflitti alla nave Mediterranea. Il giudice ha ritenuto il provvedimento così privo di fondamento da intervenire con urgenza, senza neppure convocare l’Avvocatura dello Stato. Questo episodio, secondo le ONG, conferma l’illegittimità di una strategia repressiva messa in atto dal governo.
La “guerra alle ONG” e la realtà del Mediterraneo
La vicenda della Humanity 1 riaccende i riflettori sulla “guerra alle ONG” dichiarata dal governo, come la definiscono gli attivisti. Mentre la politica si concentra sulla criminalizzazione di chi salva vite in mare, la situazione nel Mediterraneo centrale rimane drammatica. Secondo i dati dell’UNICEF, dall’inizio del 2025 oltre 145.000 persone, tra cui più di 32.100 minori, hanno attraversato il Mediterraneo. La rotta del Mediterraneo centrale si conferma la più letale al mondo, con un tributo di vite umane che continua a crescere.
Le ONG denunciano che l’assegnazione di porti lontani e i continui fermi amministrativi non fanno altro che ridurre la capacità di soccorso in mare, lasciando di fatto campo libero ai trafficanti e aumentando il rischio di naufragi. La collaborazione tra l’Italia, e l’Europa in generale, e la guardia costiera libica è al centro delle critiche. Nonostante le ripetute denunce di violenze, aggressioni e respingimenti illegali, i finanziamenti europei a Tripoli non si sono interrotti. Questa politica, secondo le organizzazioni umanitarie, rende l’Europa complice di crimini contro l’umanità.
Il fermo della Humanity 1 a Ortona non è quindi un caso isolato, ma il sintomo di uno scontro profondo tra due visioni opposte: da un lato, quella di un governo che persegue una politica di chiusura e di esternalizzazione delle frontiere; dall’altro, quella della società civile che, in nome del diritto internazionale e dei diritti umani, continua a operare per salvare vite umane nel cimitero del Mediterraneo.
