Un’affermazione forte, quasi un manifesto programmatico, che risuona con particolare eco dal palco di Atreju, la kermesse romana di Fratelli d’Italia. Mara Venier, signora della domenica televisiva italiana, ha rivendicato con fierezza l’etichetta di “nazionalpopolare”, trasformando un termine un tempo vissuto quasi come un’offesa in un distintivo di orgoglio. Le sue parole, pronunciate durante il panel “La televisione e la cultura nazionalpopolare in Italia”, hanno riaperto un dibattito mai sopito sull’identità e la funzione della TV generalista nel nostro Paese, chiamando in causa memorie storiche e interrogativi sul futuro del piccolo schermo.
Il ricordo di Baudo e la polemica storica
Per comprendere appieno la portata della dichiarazione di Mara Venier, è necessario compiere un salto indietro nel tempo, precisamente al 1987. Fu allora che l’allora presidente della Rai, Enrico Manca, definì “nazionalpopolari” i programmi di Pippo Baudo, icona indiscussa del servizio pubblico. Baudo, come ricordato dalla stessa Venier, percepì quella definizione come un’offesa, un’etichetta riduttiva che innescò una polemica durata mesi e che contribuì al suo temporaneo e traumatico addio alla Rai per approdare a Fininvest. Quel termine, mutuato dal pensiero di Antonio Gramsci che gli attribuiva una valenza positiva di connessione tra intellettuali e popolo, veniva invece interpretato in chiave quasi dispregiativa, come sinonimo di una cultura televisiva superficiale e di facile consumo. Oggi, Mara Venier ribalta quella prospettiva: “Quando dicono Mara Venier nazionalpopolare io ne sono orgogliosa”, ha affermato con convinzione, segnando una netta cesura con il passato e abbracciando un’identità che mette al centro il legame diretto e sincero con il grande pubblico.
“Domenica In”: lo specchio di un’Italia che cambia
Il cuore della riflessione della conduttrice è il suo programma, Domenica In, un vero e proprio monumento della televisione italiana, nato nel lontano 1976 con il “grande Corrado”. Secondo la Venier, la longevità e il successo ininterrotto del format, che lei stessa ha condotto per un numero record di edizioni, risiedono nella sua natura di “grande rotocalco”. Un contenitore capace di mescolare intrattenimento e riflessione, leggerezza ed emozione, adattandosi ai tempi pur mantenendo una sua riconoscibile familiarità. “Per me Domenica in non si può stravolgere, le persone vogliono un pomeriggio sereno con momenti di emozione e divertimento”, ha spiegato, sottolineando come il programma risponda a un bisogno di rassicurazione e condivisione che il pubblico continua a dimostrare, come confermano i dati d’ascolto. Nato durante gli anni dell’austerity per offrire un’alternativa alle gite fuori porta, il programma è diventato un’abitudine, un rito che ha definito il pomeriggio festivo di intere generazioni.
Un palco di confronto ad Atreju
Il panel di Atreju ha visto la partecipazione di altri volti noti e amati della televisione italiana, come Carlo Conti, Marco Liorni e, in collegamento, Ezio Greggio. La loro presenza alla kermesse, tradizionalmente legata al mondo della destra italiana, ha offerto uno spunto di riflessione sull’incontro tra TV generalista e politica. Carlo Conti, impegnato nella preparazione del prossimo Festival di Sanremo, ha parlato del rispetto per il telespettatore e della cultura intesa non solo come nozione, ma come capacità di ascolto e confronto. Marco Liorni ha evidenziato la necessità per la televisione di “respirare il Paese che c’è fuori”, di essere permeabile alla realtà per svolgere il suo importante ruolo sociale. Anche Ezio Greggio ha fatto eco alle parole della Venier, affermando che “essere nazionalpopolari significa essere nel cuore della gente”. Un coro unanime, dunque, nel difendere un modello di televisione che, lontano da un certo elitarismo intellettuale, mira a parlare a tutti, unendo le generazioni.
La sfida dell’innovazione e il “politically correct”
Nonostante la difesa appassionata del modello esistente, Mara Venier non ha nascosto una nota critica verso lo stato attuale della televisione, lamentando una certa carenza di “idee originali per programmi innovativi e diversi”. Una sfida, quella dell’innovazione, che si scontra con un panorama mediatico sempre più frammentato e competitivo. A questo si aggiunge, come sollevato da Carlo Conti, il tema del “politicamente corretto”, che secondo alcuni conduttori rischierebbe di limitare la creatività e la leggerezza. Conti ha citato l’esempio del suo programma “Tale e Quale Show”, dove non è più possibile interpretare cantanti di colore per evitare l’accusa di “blackface”, una direttiva che, a suo dire, non tiene conto dell’assenza di malizia nel contesto italiano.
La discussione ad Atreju, dunque, ha tracciato i contorni di una televisione che si sente orgogliosamente “popolare”, ma che al contempo si interroga sul proprio futuro, sulla capacità di rinnovarsi e di navigare le complesse dinamiche culturali della società contemporanea. La rivendicazione di Mara Venier non è solo una dichiarazione personale, ma il simbolo di un mondo, quello della TV generalista, che cerca di riaffermare il proprio valore e la propria centralità nel cuore degli italiani.
