Milano – Un terremoto scuote uno dei templi della sanità italiana. L’Ospedale San Raffaele di Milano è al centro di una bufera mediatica e giudiziaria a seguito di gravi disservizi verificatisi nei reparti di medicina ad alta intensità e terapia intensiva. La crisi, culminata con le dimissioni dell’amministratore unico Francesco Galli, ha portato alla luce profonde criticità gestionali, in particolare legate all’affidamento di servizi cruciali a cooperative esterne. A gettare acqua sul fuoco, con un gesto tanto necessario quanto emblematico, è il professor Alberto Zangrillo, figura di spicco dell’istituto, che ha pubblicamente chiesto scusa per l’accaduto.
Le scuse di Zangrillo: “Un’emergenza non affrontata come tale”
“A chiedere scusa non si sbaglia mai, anzi, ne approfitto quindi per chiedere scusa se abbiamo arrecato del danno che non avremmo voluto arrecare. Quella è stata un’emergenza che non è stata affrontata come una situazione di emergenza”. Con queste parole, rilasciate al Tg3 Lombardia, il professor Alberto Zangrillo, responsabile delle attività cliniche del San Raffaele e recentemente nominato Chief Clinical Officer, ha commentato i fatti che hanno travolto l’ospedale. Le sue dichiarazioni, cariche di rammarico, non si limitano a un atto formale, ma aprono una riflessione sulla gestione di reparti ad “alta intensità e sovraccarico di malati”. Zangrillo ha definito l’evento “molto spiacevole”, sottolineando però che fortunatamente non ha avuto conseguenze gravi e che la risposta per ripristinare l’equilibrio gestionale è stata “veloce e repentina”.
Cosa è successo: il caos nel reparto “Iceberg”
I disservizi si sono concentrati nella notte tra il 6 e il 7 dicembre scorsi nel cosiddetto “Iceberg”, l’edificio che ospita i reparti di admission room, medicina ad alta intensità e cure intensive. La causa scatenante sarebbe stata l’impiego di personale infermieristico fornito da una cooperativa esterna, rivelatosi, secondo numerose testimonianze e mail interne, non adeguatamente preparato a gestire la complessità e la criticità dei pazienti ricoverati. Si sono registrati errori nella somministrazione di farmaci, scarsa conoscenza delle procedure e persino difficoltà linguistiche, situazioni che hanno messo a “elevatissimo rischio i pazienti”. La situazione è diventata talmente critica da costringere la direzione sanitaria a bloccare temporaneamente gli accessi dal pronto soccorso e a trasferire alcuni degenti in altri reparti.
Le conseguenze: dimissioni e inchieste
La gravità della situazione ha innescato una rapida reazione ai vertici. L’amministratore unico Francesco Galli ha rassegnato le dimissioni a seguito di una riunione d’urgenza del consiglio di amministrazione del Gruppo San Donato, che aveva già votato all’unanimità la procedura di revoca nei suoi confronti. Al suo posto è stato nominato Marco Centenari, già amministratore delegato del gruppo.
Sul fronte giudiziario, la vicenda ha attirato l’attenzione delle autorità. I Carabinieri del NAS (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) hanno effettuato un’ispezione per raccogliere documentazione e ricostruire i fatti. In seguito alle relazioni dei NAS e della Squadra Mobile, la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta conoscitiva, un fascicolo al momento senza indagati né ipotesi di reato, per fare piena luce sulla catena decisionale e sulla gestione dell’appalto alla cooperativa. Anche la Regione Lombardia, tramite l’assessore al Welfare Guido Bertolaso, ha avviato un’indagine interna attraverso l’ATS (Agenzia di Tutela della Salute) per accertare eventuali responsabilità e criticità organizzative.
Il nodo delle cooperative esterne nella sanità
Il caso del San Raffaele ha riacceso i riflettori su una questione ampiamente dibattuta: l’esternalizzazione dei servizi sanitari, specialmente in aree delicate come le terapie intensive. Lo stesso professor Zangrillo, pur senza entrare nel merito delle decisioni aziendali, ha espresso una preferenza netta: “preferisco i miei infermieri, che ho formato e che mi conoscono”. Questa affermazione evidenzia la tensione tra la necessità di contenere i costi e garantire la flessibilità del personale, e l’imprescindibile esigenza di assicurare standard qualitativi e di sicurezza elevatissimi, che solo personale altamente formato e integrato nel contesto ospedaliero può garantire. I sindacati avevano già lanciato l’allarme mesi prima, segnalando in una lettera al Ministero della Salute e alla Regione Lombardia i rischi per la continuità assistenziale. La vicenda solleva quindi un interrogativo fondamentale sul modello organizzativo della sanità, non solo lombarda, e sul delicato equilibrio tra sanità pubblica e privata accreditata.
