Il cinema come strumento di memoria, come bisturi che incide le cicatrici della Storia per svelarne il dolore ancora pulsante. Marco Bechis, regista italo-cileno che ha dedicato gran parte della sua filmografia a esplorare le pagine più oscure del passato sudamericano, torna dietro la macchina da presa con “Ritorno a Buenos Aires”. Un titolo che è già una dichiarazione d’intenti, un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio, in quell’Argentina ferita dalla dittatura militare (1976-1983) che Bechis conosce fin troppo bene, avendola vissuta sulla propria pelle. Le riprese del film sono ufficialmente iniziate, segnando un atteso ritorno per il regista di opere capitali come Garage Olimpo e Hijos – Figli.
Protagonista di questo complesso percorso nella memoria è Adriano Giannini, che interpreta Mariano Guerra. Il suo non è il ritorno trionfale di un eroe in cerca di vendetta, ma il faticoso pellegrinaggio di un uomo chiamato a fare i conti con il proprio passato. Guerra deve tornare in Argentina per testimoniare nel processo contro i militari che lo sequestrarono e lo torturarono durante gli anni del regime. Un’epoca buia, la stessa in cui il Paese ospitava i Mondiali di calcio del 1978, una sinistra cortina fumogena per nascondere al mondo l’orrore della repressione clandestina e dei desaparecidos.
L’ombra del sopravvissuto: un’indagine sulla colpa e la memoria
Il cuore narrativo del film, come suggerisce la sinossi, non risiede nella violenza esplicita, ma nelle sue conseguenze psicologiche, nelle sue meccaniche subdole. Bechis, coerentemente con il suo stile rigoroso e mai consolatorio già ammirato in Garage Olimpo, sceglie di lasciare la brutalità fuori campo. Ciò che gli preme indagare è come la violenza si sedimenti nell’animo di chi sopravvive, come ne alteri la percezione e la coscienza. Mariano Guerra, infatti, non è una figura monolitica. Porta con sé una “zona d’ombra”: piegato dalle torture, finì per parlare, denunciando i suoi stessi compagni. È questa la ferita più profonda, il tarlo che lo consuma e che il ritorno a Buenos Aires riaprirà inevitabilmente.
Il film si preannuncia quindi come una profonda riflessione sulla colpa, sul compromesso e sulla difficile eredità di chi è scampato all’orrore portandone però le stigmate interiori. Un’esplorazione che si allinea perfettamente con la poetica di Bechis, da sempre interessato più ai meccanismi psicologici del potere e della sopraffazione che alla loro rappresentazione spettacolare.
Una produzione internazionale per un anniversario significativo
“Ritorno a Buenos Aires” è una coproduzione internazionale che unisce le forze di Italia e Brasile. Per l’Italia, scendono in campo realtà produttive di primo piano come Fandango di Domenico Procacci e Laura Paolucci, 39Films di Alfredo Federico e Simona Banchi, e la stessa Karta Film di Marco Bechis, in collaborazione con Rai Cinema. Dal Brasile, contribuisce la 34 Filmes di Patrick de Jongh, Cibele Amaral e André Ristum. Questa sinergia produttiva testimonia l’importanza e l’universalità di un progetto che tocca corde profonde della storia contemporanea.
Le riprese si svolgeranno tra Porto Alegre, in Brasile, e Torino, con il prezioso sostegno della Film Commission Torino Piemonte. La scelta delle location non è casuale e suggerisce un percorso di esilio e ritorno, un ponte tra il luogo della fuga e quello del trauma originario. La realizzazione del film sarà completata nel primo trimestre del 2026, una data altamente simbolica: coinciderà infatti con il cinquantesimo anniversario dell’inizio della dittatura militare argentina, nel marzo del 1976. Un’occasione per riaccendere i riflettori su una delle pagine più tragiche del Novecento e interrogarsi su “ciò che resta dopo la sopravvivenza”.
Un cast e una troupe di talento
Accanto ad Adriano Giannini, il film vanta un cast argentino di grande rilievo, che include Ana Celentano, Vero Gerez, Olivia Nuss, Adrián Fondari e Marcelo Chaparro, ai quali si aggiunge l’attrice brasiliana Paula Cohen. A dare forma visiva a questo racconto denso e complesso, contribuiscono due professionisti di grande esperienza: la fotografia è affidata a Fabrizio La Palombara, mentre il montaggio sarà curato da Jacopo Quadri. Nomi che garantiscono una costruzione estetica e narrativa di altissimo livello, essenziale per un’opera che si preannuncia tanto potente quanto necessaria.
