Una storia che intreccia dolore, accuse e un complesso iter giudiziario sta scuotendo il Friuli Venezia Giulia, portando alla luce le complessità e le possibili criticità nella gestione dei casi di presunta violenza sui minori. Una madre si è vista sospendere la responsabilità genitoriale e allontanare la figlia di soli 8 anni, prelevata direttamente da scuola lo scorso 11 febbraio per essere trasferita in una casa famiglia. Da quel giorno, i contatti tra madre e figlia sono stati quasi inesistenti, limitati a una singola videochiamata di mezz’ora il 30 settembre, come denunciato dalla donna ai quotidiani Il Messaggero e Il Gazzettino, che per primi hanno dato voce alla sua battaglia.

L’origine della vicenda: la denuncia per presunti abusi

Tutto ha inizio quando la madre, raccogliendo quelle che descrive come “terribili confessioni” della figlia riguardo a presunti abusi subiti da parte del padre, decide di affidarsi alla giustizia. La sua azione, volta a proteggere la bambina, innesca però un meccanismo che si ritorce contro di lei. La denuncia per presunti abusi viene infatti archiviata; secondo le valutazioni del giudice, la testimonianza della minore non sarebbe stata considerata pienamente utilizzabile, evidenziando la difficoltà intrinseca nel gestire processi di questa natura, specialmente con bambini molto piccoli in contesti familiari conflittuali. La donna racconta inoltre un passato difficile, sostenendo che la bambina sia nata da un rapporto non consenziente e di essersi allontanata dall’ex compagno proprio per tutelare la figlia.

Le accuse alla madre e la sospensione della genitorialità

Il percorso giudiziario prende una piega inaspettata quando le attenzioni si concentrano sulla condotta della madre. Le viene contestato di aver portato la figlia una decina di volte al pronto soccorso per visite ginecologiche, giudicate “eccessive” dalle autorità, e di aver messo in atto un comportamento volto a screditare la figura paterna. Questi elementi, valutati nel contesto di una presunta sindrome di alienazione parentale, portano il tribunale a emettere un provvedimento drastico: la sospensione temporanea della sua responsabilità genitoriale e il conseguente collocamento della bambina in una struttura protetta.

La donna, dal canto suo, esprime profonda angoscia per una decisione che percepisce come una “tortura”. La sua denuncia acquista un tono ancora più amaro quando sottolinea una contraddizione: la sospensione della sua genitorialità si baserebbe su perizie redatte dagli stessi servizi sociali che, in un altro tragico caso di cronaca regionale, avevano autorizzato gli incontri non protetti tra una madre con problemi psichiatrici e il figlio di 9 anni, poi ucciso proprio durante una di queste visite. Un precedente che, secondo la madre e i suoi sostenitori, solleva seri dubbi sull’adeguatezza delle valutazioni effettuate.

L’intervento della politica: un’interrogazione parlamentare

Il caso ha superato i confini regionali, approdando a Roma. Otto senatori del Partito Democratico, tra cui spicca il nome di Valeria Valente, membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e sulla violenza di genere, hanno firmato un’interrogazione parlamentare rivolta ai ministri della Giustizia e per la Famiglia. Nel documento, i senatori esprimono forte preoccupazione per la gestione della vicenda.

Si legge nell’interrogazione: “Il prolungamento della permanenza della minorenne in struttura, per più del doppio del tempo previsto dal tribunale, in provincia diversa da quella di residenza, con minori di diverse nazionalità, sia maschi sia femmine dai 12 ai 14 anni, con un completo sradicamento dal suo habitat familiare, scolastico e amicale, appare contrario alla dignità della persona e ai principi che tutelano il supremo interesse del minore”. L’atto parlamentare chiede quindi chiarezza sulle motivazioni che hanno portato a un allontanamento così prolungato e traumatico, sollecitando un intervento ministeriale per verificare la correttezza delle procedure adottate.

Il contesto normativo e le sfide del sistema

La sospensione della responsabilità genitoriale è un provvedimento previsto dal codice civile (art. 333) quando la condotta di un genitore appare “comunque pregiudizievole al figlio”. Non è necessario un danno già conclamato, ma è sufficiente una situazione di mero pericolo. Tuttavia, la sua applicazione in contesti di alta conflittualità, dove si sovrappongono accuse di abusi e sospetti di alienazione parentale, rappresenta una delle sfide più delicate per il sistema giudiziario e per i servizi sociali. L’obiettivo primario resta sempre la tutela del “supremo interesse del minore”, un principio che deve guidare ogni decisione, bilanciando il diritto del bambino a una crescita serena e il suo legame con le figure genitoriali. Questa vicenda del Friuli Venezia Giulia riaccende il dibattito sull’efficacia degli strumenti a disposizione e sulla necessità di valutazioni sempre più attente e multidisciplinari per evitare che, nel tentativo di proteggere un bambino, si possano creare nuove e profonde ferite.

Di veritas

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