Un’ondata di cancellazioni senza precedenti sta colpendo i collegamenti aerei tra Cina e Giappone, in quella che appare come la più diretta e tangibile conseguenza di una crisi diplomatica sempre più profonda. Oltre il 40% dei voli previsti per il mese di dicembre è stato annullato, per un totale che supera le 1.900 tratte aeree. La miccia che ha innescato questa reazione a catena è stata accesa dalle parole della premier giapponese, Sanae Takaichi, riguardo alla questione di Taiwan.
La dichiarazione che ha infiammato i rapporti
Lo scorso 7 novembre, durante una sessione parlamentare, la premier Takaichi ha affermato che il Giappone potrebbe intervenire militarmente qualora la Cina attaccasse Taiwan. Pechino, che considera Taiwan una “provincia ribelle” da riunificare al territorio nazionale, anche con l’uso della forza se necessario, ha reagito con veemenza. Le dichiarazioni di Takaichi sono state definite “fortemente sbagliate” e una “flagrante interferenza negli affari interni della Cina”. Il governo cinese ha chiesto un’immediata ritrattazione, ipotesi già esclusa da Tokyo, alimentando così un braccio di ferro diplomatico le cui conseguenze si stanno ora manifestando in campo economico.
L’impatto economico: turismo e compagnie aeree in ginocchio
Il boicottaggio turistico e dei viaggi, promosso da Pechino, sta avendo effetti devastanti. Secondo i dati forniti dalla piattaforma Umetrip e riportati dal Global Times, la drastica riduzione dei voli sta mettendo a dura prova l’industria del turismo giapponese, per la quale i visitatori cinesi rappresentano una fetta cruciale del mercato. Basti pensare che, secondo l’Organizzazione nazionale del turismo giapponese, da gennaio a ottobre di quest’anno circa 8,2 milioni di turisti cinesi hanno visitato il Sol Levante, segnando un incremento del 40% su base annua.
L’aeroporto internazionale del Kansai, uno dei principali hub del Giappone, è tra i più colpiti. Yoshiyuki Yamaya, presidente di Kansai Airports Group, ha dichiarato che nella seconda settimana di dicembre i voli che collegano lo scalo con la Cina subiranno una diminuzione del 34%. Inizialmente, per la stagione invernale erano previsti 525 voli settimanali tra il Kansai e la Cina. La situazione ha portato a un crollo delle prenotazioni: tra il 15 e il 18 novembre, si è registrato un calo di 543.000 unità per i voli operati da compagnie cinesi verso il Giappone.
- Xiamen Airlines ha sospeso i collegamenti da Hangzhou all’aeroporto di Chubu.
- Hainan Airlines ha interrotto i voli da Xi’an all’aeroporto di New Chitose, nell’Hokkaido.
- Air China ha ridotto le frequenze settimanali sulla rotta Shanghai-Osaka da 21 a 16.
- China Eastern ha tagliato sei voli sulla tratta Pechino-Osaka.
L’impatto si è immediatamente riflesso anche in Borsa, dove i titoli delle aziende legate al turismo e alla vendita al dettaglio, così come quelli delle principali compagnie aeree nipponiche, hanno subito forti cali. Secondo le stime dell’emittente pubblica NHK, un boicottaggio prolungato per un anno potrebbe causare una perdita economica complessiva superiore agli 11,5 miliardi di dollari.
Una strategia calcolata
Nonostante la massiccia cancellazione dei voli, gli analisti notano un dettaglio strategico: le compagnie aeree cinesi non hanno ceduto gli slot di decollo e atterraggio in loro possesso, specialmente in aeroporti congestionati come quello di Tokyo Haneda. Liberarsene ora significherebbe avere difficoltà a riottenerli a prezzi competitivi in futuro. Questa mossa viene interpretata come un segnale che, nonostante la durezza dello scontro attuale, Pechino non intende chiudere definitivamente i canali di collegamento, lasciando aperta la porta a una futura risoluzione della crisi.
Nel frattempo, i turisti cinesi stanno dirottando le loro preferenze di viaggio verso altre destinazioni asiatiche. Secondo la piattaforma di viaggi Qunar, la Corea del Sud è diventata la meta più gettonata, seguita da Thailandia, Malesia, Singapore e Vietnam.
Un contesto geopolitico complesso
La crisi attuale si inserisce in un contesto geopolitico teso e complesso. La posizione del Giappone su Taiwan si è fatta più esplicita sotto la guida di Takaichi, allineandosi a una visione che considera un’eventuale crisi nello Stretto di Taiwan come una “minaccia esistenziale” per la sicurezza nazionale giapponese. Questa postura si basa su una legge del 2015, voluta dall’allora premier Shinzō Abe, che permette l’esercizio dell’autodifesa collettiva. La vicinanza geografica (l’isola di Yonaguni dista solo 110 km da Taiwan) e l’importanza strategica delle rotte commerciali che attraversano lo stretto sono fattori chiave che spiegano la preoccupazione di Tokyo.
La reazione di Pechino non si è limitata al settore turistico. Sono stati emessi avvisi di sicurezza per gli studenti cinesi in Giappone e reintrodotto il bando sulle importazioni di prodotti ittici giapponesi, una misura già adottata in passato. Questa crisi dimostra come la Cina sia in grado di utilizzare la propria leva economica e il turismo come strumenti di pressione diplomatica per influenzare le scelte strategiche dei suoi vicini. Il futuro delle relazioni sino-giapponesi dipenderà dalla capacità di entrambe le parti di trovare un equilibrio tra le proprie posizioni irremovibili e la necessità di mantenere una stabilità regionale cruciale per l’economia globale.
