Un sasso nello stagno, o forse una vera e propria mina sul percorso, già accidentato, del sostegno europeo all’Ucraina. Le parole del ministro degli Esteri belga, Maxime Prévot, hanno scosso le fondamenta del dibattito sull’utilizzo degli asset sovrani russi congelati, delineando uno scenario a tinte fosche per il suo Paese: il rischio concreto di bancarotta. In un’intervista all’emittente Rtl, Prévot ha parlato senza mezzi termini di una “grande spada di Damocle” che pende sulla testa del Belgio, qualora si procedesse con la confisca o l’uso di tali fondi per finanziare Kiev.

Il cuore del problema: 200 miliardi di euro e il diritto internazionale

Al centro della questione vi sono circa 200 miliardi di euro di asset della Banca Centrale Russa, immobilizzati in gran parte presso Euroclear, il depositario internazionale di titoli con sede a Bruxelles. L’Unione Europea e i partner del G7 da mesi discutono la possibilità di utilizzare non tanto i capitali in sé, quanto i profitti da essi generati, per sostenere lo sforzo bellico e la futura ricostruzione dell’Ucraina. Un’idea che sulla carta appare come una forma di giustizia economica, ma che nasconde insidie legali e finanziarie enormi.

Il ministro Prévot ha messo in guardia sui rischi di un contenzioso legale con Mosca: “Se la Russia ci porta in tribunale avrà tutte le possibilità di vincere e noi non saremo in grado di rimborsare questi 200 miliardi perché rappresentano l’equivalente di un anno di bilancio federale. Significherebbe la bancarotta”. Il punto cruciale, ha sottolineato, è la volontà di “evitare di violare il diritto internazionale non basandoci su una decisione giudiziaria, ma sulla volontà politica”. Un principio, quello dell’immunità sovrana dei beni di una banca centrale, che secondo molti giuristi è un pilastro del diritto internazionale e della stabilità finanziaria globale.

La posizione del Belgio e le frizioni con la UE

La posizione belga non è isolata, ma è certamente la più esposta, data la localizzazione di Euroclear. Il primo ministro, Bart De Wever, ha espresso preoccupazioni analoghe in una lettera inviata alla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, avvertendo che procedere frettolosamente potrebbe non solo esporre il Belgio a rischi insostenibili, ma anche “impedire di fatto il raggiungimento di un eventuale accordo di pace”, privando l’Europa di una leva negoziale fondamentale.

Bruxelles chiede garanzie “giuridicamente vincolanti, incondizionate, irrevocabili” da parte di tutti gli Stati membri, per una condivisione solidale dei rischi. Una richiesta che evidenzia la tensione crescente tra il governo belga e le istituzioni europee, determinate a trovare nuove vie per finanziare l’Ucraina di fronte alle difficoltà crescenti.

Le preoccupazioni belghe sono condivise, seppur con toni diversi, anche dalla Banca Centrale Europea. Secondo indiscrezioni riportate dal Financial Times, la BCE avrebbe espresso forti perplessità, rifiutandosi di agire come prestatore di ultima istanza per Euroclear in caso di crisi di liquidità. L’istituto di Francoforte teme che l’operazione possa configurarsi come una violazione del suo mandato, che vieta il finanziamento diretto ai governi, e che possa minare la stabilità finanziaria e la credibilità dell’euro.

Uno scenario complesso: tra sostegno a Kiev e stabilità globale

La vicenda degli asset russi si inserisce in un quadro geopolitico ed economico estremamente complesso. Da un lato, vi è l’urgenza di sostenere l’Ucraina, il cui fabbisogno finanziario per la difesa e la sopravvivenza dello Stato è enorme. Dall’altro, la necessità di preservare i principi del diritto internazionale e la fiducia nel sistema finanziario europeo.

La confisca o l’utilizzo forzato di asset sovrani è una mossa senza precedenti nella storia recente, che potrebbe innescare una fuga di capitali dall’eurozona da parte di altri Paesi, timorosi che le proprie riserve possano subire lo stesso trattamento per ragioni politiche. Un “vaso di Pandora”, come lo definiscono alcuni analisti, che potrebbe avere conseguenze sistemiche difficili da prevedere.

Mentre la diplomazia lavora per trovare una soluzione che contemperi le diverse esigenze, la “spada di Damocle” evocata dal ministro Prévot continua a pendere non solo sul Belgio, ma sull’intera architettura finanziaria e giuridica europea. La decisione finale avrà implicazioni che andranno ben oltre il conflitto in Ucraina, definendo per gli anni a venire la credibilità dell’Europa come porto sicuro per gli investimenti e come baluardo dello stato di diritto.

Di atlante

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