Dalle profondità della crosta terrestre, un movimento lento ma inesorabile sta ridisegnando la geografia di una delle aree più strategiche del pianeta. Il Golfo di Suez, la propaggine settentrionale del Mar Rosso che separa l’Africa dall’Asia, si sta allargando. Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters, ha dimostrato che le placche tettoniche africana e arabica non hanno cessato di allontanarsi, come una teoria consolidata sosteneva, ma continuano la loro danza millenaria. Questo processo, sebbene impercettibile su scala umana, è una testimonianza potente della dinamica vivente del nostro pianeta e potrebbe, in un futuro geologicamente lontano, portare alla nascita di un nuovo oceano.

Una teoria consolidata messa in discussione

Per anni, la comunità scientifica ha ritenuto che l’attività tettonica nel rift di Suez si fosse sostanzialmente interrotta circa 5 milioni di anni fa. Questa convinzione relegava il Golfo a uno stato di “rift abortito”, una frattura continentale che aveva smesso di evolversi verso la formazione di un bacino oceanico. Tuttavia, la ricerca condotta da un team internazionale guidato dal geologo David Fernández-Blanco dell’Imperial College di Londra ha portato alla luce prove inequivocabili che contraddicono questa visione. La separazione delle placche non si è arrestata; ha semplicemente rallentato, proseguendo con un ritmo misurabile ancora oggi.

Il team di ricerca ha analizzato con meticolosità quasi 300 chilometri del rift di Suez, utilizzando tecnologie all’avanguardia per svelare i segreti nascosti nel paesaggio. “La nostra ricerca dimostra che la fratturazione continua”, afferma Fernández-Blanco, la cui carriera è dedicata a comprendere come i fenomeni fisici modellano il rilievo terrestre e influenzano la tettonica. Questo risultato non è solo una correzione accademica, ma un cambio di prospettiva fondamentale sulla geodinamica della regione.

Le prove di un movimento in atto

Come hanno fatto gli scienziati a “vedere” questo movimento quasi impercettibile? La risposta risiede in un’analisi multidisciplinare che combina geologia strutturale, geomorfologia e dati satellitari. Ecco i punti chiave della loro metodologia:

  • Profili topografici 3D: I ricercatori hanno esaminato 300 profili topografici, ovvero sezioni verticali del terreno, ottenuti da modelli digitali di elevazione. Questi modelli tridimensionali hanno rivelato la presenza di “gradini” netti sulla superficie di strati rocciosi geologicamente giovani. Tali gradini sono la firma inequivocabile del movimento lungo le faglie, che continuano a sollevare e spostare porzioni della crosta terrestre.
  • Terrazze di barriera corallina: Un’altra prova schiacciante proviene dallo studio di antiche terrazze di barriera corallina. In 25 siti lungo il rift, il team ha misurato l’elevazione di queste formazioni. Le barriere coralline si formano al livello del mare; oggi, queste antiche barriere si trovano fino a 18,5 metri al di sopra dell’attuale livello del Golfo. Questo innalzamento può essere spiegato solo con un sollevamento tettonico attivo, un lento ma costante rigonfiamento della terra causato dalle forze sottostanti.

I dati raccolti indicano che parti del rift si stanno allungando orizzontalmente a una velocità compresa tra 0,26 e 0,55 millimetri all’anno, mentre il sollevamento verticale raggiunge i 0,13 millimetri all’anno. Sebbene queste velocità possano sembrare irrisorie, su scala geologica rappresentano un movimento significativo, paragonabile a quello di altre zone di rift considerate moderatamente attive nel mondo.

Il contesto geologico: la Grande Rift Valley

Il rift di Suez non è un fenomeno isolato. Fa parte di un sistema di fratture molto più vasto, la Grande Rift Valley, che si estende per migliaia di chilometri dal Medio Oriente fino al Mozambico. Questo immenso sistema è il luogo in cui il continente africano si sta letteralmente spaccando in due. La placca araba si è separata da quella africana a partire dall’Oligocene, circa 30 milioni di anni fa, dando origine al Mar Rosso e al Golfo di Aden. Più a sud, la placca africana si sta dividendo ulteriormente nella placca nubiana (la maggior parte del continente) e nella placca somala (il Corno d’Africa).

Il motore di questa separazione è la risalita di materiale caldo dal mantello terrestre, un fenomeno noto come “pennacchio del mantello”. Questo materiale incandescente spinge verso l’alto, inarcando e stirando la crosta terrestre fino a fratturarla. Il Mar Rosso è già un giovane oceano in formazione, e lo studio sul Golfo di Suez suggerisce che anche questo braccio di mare stia seguendo, seppur più lentamente, lo stesso destino.

Implicazioni future: la nascita di un nuovo oceano

Cosa significa tutto questo per il futuro? L’allargamento continuo del Golfo di Suez, insieme a quello del Mar Rosso, porterà inevitabilmente alla formazione di un nuovo bacino oceanico. È un processo che richiederà milioni di anni, ma i cui primi passi si stanno compiendo sotto i nostri occhi. In un futuro remoto, la Penisola del Sinai potrebbe diventare un’isola, e il Mar Rosso si congiungerà al Mar Mediterraneo in modo molto più ampio di quanto non faccia oggi attraverso il canale artificiale.

Questa evoluzione geologica avrà conseguenze profonde, non solo sulla mappa del mondo, ma anche sugli ecosistemi e, potenzialmente, sull’attività sismica della regione. Comprendere la velocità e le modalità di questi processi è fondamentale per valutare i rischi geologici e per ricostruire la storia del nostro pianeta. La ricerca del team di Fernández-Blanco rappresenta un tassello cruciale in questo complesso puzzle, un promemoria che la Terra è un sistema dinamico e in continua evoluzione, il cui respiro profondo modella incessantemente la superficie che abitiamo.

Di davinci

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