Con una sentenza di eccezionale valore morale e giuridico, il Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (Cga) ha scritto una pagina fondamentale nella tutela delle vittime innocenti di mafia. I giudici amministrativi hanno condannato il Ministero dell’Interno a risarcire con una somma superiore ai 300mila euro due familiari di Michele Amico, il coraggioso tabaccaio assassinato a Caltanissetta il 23 ottobre 2003 per essersi ribellato al racket delle estorsioni. La decisione ribalta un precedente pronunciamento del Tar di Palermo e accoglie l’appello dei congiunti della vittima, ponendo fine a un lungo e doloroso iter giudiziario.

La vicenda di Michele Amico: un simbolo di coraggio

Michele Amico era titolare di una tabaccheria a Caltanissetta. Per essersi rifiutato di piegarsi alle richieste estorsive di Cosa Nostra, subì numerosi atti vandalici e intimidazioni. La sua ferma opposizione alla criminalità organizzata gli costò la vita la mattina del 23 ottobre 2003, quando fu brutalmente assassinato con sette colpi di pistola. Per il suo omicidio è stato condannato in via definitiva all’ergastolo Agesilao Marisola, successivamente divenuto collaboratore di giustizia, individuato come l’esecutore materiale che attirò Amico in una trappola mortale.

L’odissea giudiziaria della famiglia

Il percorso per ottenere il giusto riconoscimento da parte dello Stato è stato lungo e travagliato per i familiari di Michele Amico. Già due anni fa, la Corte d’Appello di Caltanissetta aveva riconosciuto a tre familiari della vittima tutti i benefici previsti dalla legge. Sorprendentemente, il Ministero dell’Interno, pur non presentando ricorso in Cassazione e pagando le spese processuali, si era opposto al riconoscimento dello speciale assegno vitalizio, un beneficio economico mensile pari a 1.033 euro per ciascun avente diritto. La motivazione del Viminale si basava su un presunto vizio di forma: un “difetto di istanza” legato a un modulo incompleto fornito dalla stessa amministrazione.

I familiari si erano quindi rivolti al Tar di Palermo, che aveva respinto il loro ricorso, dando ragione al Ministero. La tenacia di due dei tre familiari li ha portati a presentare appello al Consiglio di giustizia amministrativa, che ha finalmente reso loro giustizia.

La sentenza del Cga: oltre il formalismo, un principio di dignità

La sentenza del Cga, redatta dall’estensore Sebastiano Di Betta e firmata dal presidente Roberto Giovagnoli, va ben oltre la mera questione economica. I giudici hanno sottolineato che il caso “non attiene a una comune controversia in materia di prestazioni economiche, ma investe un caso di rilevanza morale e istituzionale particolare, in cui la questione giuridica si intreccia con un’esigenza di giustizia sostanziale e di dignità civile“.

Per il Cga, l’opposizione del Ministero, basata su un “eccessivo formalismo”, è risultata “incompatibile con il principio di effettività della tutela e con la natura solidaristica del beneficio”. L’amministrazione, secondo i giudici, non può sfruttare a proprio vantaggio un’imprecisione terminologica del cittadino o un difetto di un proprio modulo per negare un diritto.

I punti cardine della decisione possono essere così riassunti:

  • Riparazione Istituzionale: La sentenza della Corte d’Appello che riconosceva lo status di familiari di vittima di mafia non è una semplice condanna pecuniaria, ma un “atto di riparazione istituzionale“.
  • Valore Simbolico: Lo status di familiare di vittima innocente di mafia “non si esaurisce in una somma di elargizioni, ma rappresenta il segno tangibile del vincolo che unisce lo Stato ai suoi cittadini quando questi ultimi subiscono, in prima persona, le ferite della violenza criminale“.
  • Principi Costituzionali: La normativa a tutela delle vittime della criminalità organizzata si ispira ai principi di eguaglianza sostanziale e di solidarietà costituzionale (artt. 2 e 3 Cost.), che impongono una tutela “piena, integrale e sistemica”, equiparabile a quella prevista per le vittime del terrorismo.

Il risarcimento di oltre 300mila euro copre gli arretrati dell’assegno vitalizio maturati a partire dal 2016 per due delle familiari. Questa pronuncia non solo restituisce dignità alla famiglia Amico, ma crea un precedente cruciale contro le derive burocratiche che troppo spesso si trasformano in un’ulteriore sofferenza per chi ha già pagato un prezzo altissimo.

Il contesto normativo: i diritti delle vittime di mafia

La legislazione italiana, a partire dalla legge n. 302 del 1990, ha progressivamente esteso alle vittime della criminalità organizzata di stampo mafioso i medesimi benefici previsti per le vittime del terrorismo. Successive norme, come le leggi n. 407/1998 e n. 244/2007, hanno introdotto e potenziato strumenti come lo speciale assegno vitalizio di 1.033 euro mensili, esente da IRPEF, per le vittime che abbiano riportato un’invalidità permanente o per i loro familiari superstiti. Questi benefici rappresentano il riconoscimento da parte dello Stato del sacrificio di cittadini che, come Michele Amico, hanno difeso la legalità fino alle estreme conseguenze.

Di veritas

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