Un provvedimento disciplinare che scuote le fondamenta del dibattito sull’inclusione scolastica. A Messina, presso la scuola media “Manzoni-Dina e Clarenza”, un alunno di undici anni, affetto da una grave forma di autismo, è stato sospeso per cinque giorni con obbligo di frequenza. La causa scatenante è un gesto: aver toccato una compagna di classe. Un episodio descritto da alcuni testimoni come un incidente, avvenuto a seguito di una caduta, ma che ha comunque innescato una reazione a catena, sollevando interrogativi profondi sull’equilibrio tra la necessità di tutela per tutti gli studenti e l’applicazione di sanzioni a chi vive una condizione di complessa disabilità.

LA DINAMICA DEI FATTI E LE REAZIONI IMMEDIATE

Secondo le ricostruzioni, il ragazzo, che frequenta la prima media, sarebbe caduto mentre una compagna passava, e inavvertitamente la sua mano l’avrebbe sfiorata. La ragazzina è scoppiata in lacrime e, poco dopo, i suoi genitori si sono presentati a scuola chiedendo provvedimenti. La dirigenza scolastica, dopo aver convocato un consiglio straordinario, ha deliberato per la sospensione, definendola una misura con “finalità educative”. L’obiettivo dichiarato nella delibera è quello di “rafforzare il senso di responsabilità e consapevolezza dell’alunno a garanzia del ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica”, auspicando che la sanzione possa indurre l’allievo a una “seria e costruttiva riflessione”.

La reazione della famiglia dell’undicenne è stata immediata e decisa. La madre, pur esprimendo comprensione per i genitori della ragazzina, ha parlato di “umiliazione e discriminazione” ai danni del figlio, annunciando l’intenzione di rivolgersi alla Procura e ai Carabinieri. “Non posso assolutamente giustificare il gesto di mio figlio – ha dichiarato – E mi metto nei panni dei genitori della ragazzina. Anche io ho una figlia. Ma mio figlio è stato umiliato”.

LA CONDIZIONE DELL’ALUNNO E L’INTERVENTO DEI GARANTI

Al centro della questione vi è la condizione specifica del ragazzo. La madre ha spiegato che il figlio ha “uno spettro autistico di terzo livello” ed è anche iperattivo, con un’età cognitiva paragonabile a quella di un bambino di tre anni. “Porta addirittura il pannolino. Non si sta rendendo conto di nulla”, ha aggiunto, sottolineando l’incapacità del figlio di comprendere la natura inappropriata del gesto e il significato della punizione. L’alunno è seguito da un team composto da insegnante di sostegno, assistente alla comunicazione, educatore e assistente igienico-sanitario, a testimonianza della gravità della sua condizione, certificata dall’INPS.

La vicenda ha visto il pronto intervento dei garanti per l’infanzia e la disabilità del Comune di Messina, Giovanni Amante e Tiziana De Maria. In una nota congiunta indirizzata al dirigente scolastico, hanno chiesto il riesame del provvedimento, definendo il gesto dell’alunno “istintivo, privo di intenzionalità aggressiva o connotazione sessuale, coerentemente con il suo profilo clinico”. I garanti hanno inoltre citato due sentenze della Cassazione (del 2020 e 2021) che escludono il criterio dell’intenzionalità nei comportamenti di persone con disabilità cognitiva o neuropsicologica. Hanno poi richiamato le linee guida del Ministero dell’Istruzione (MIUR), le quali stabiliscono che i comportamenti problematici debbano essere gestiti attraverso “strategie personalizzate e non tramite misure punitive”.

IL DIBATTITO: DISCIPLINA, EDUCAZIONE E INCLUSIONE

Il caso di Messina riapre una ferita mai del tutto sanata nel sistema scolastico italiano: come coniugare disciplina e inclusione quando si ha a che fare con studenti con disabilità complesse? La normativa, come il DPR 235/07 (Statuto degli studenti), prevede che le sanzioni tengano conto della “situazione personale dello studente”, ma non esenta a priori gli alunni con disabilità dal rispetto dei regolamenti. La questione, quindi, si sposta dal piano della legittimità a quello della “convenienza educativa”.

Gli esperti sottolineano che una punizione, per essere efficace, deve essere compresa. Nel caso di un ragazzo con un severo disturbo dello spettro autistico, la cui capacità di elaborare concetti come “colpa” e “punizione” è compromessa, una sospensione rischia di essere non solo inefficace, ma controproducente. Potrebbe generare sfiducia, regressioni nel percorso educativo e compromettere la relazione con la scuola, vista non più come luogo di supporto ma di sanzione. Sulla stessa linea si è espressa anche l’assessora alle politiche sociali del Comune, Alessandra Calafiore, che ha definito il provvedimento un “segnale negativo che va contro le nostre politiche” di inclusione, lamentando la mancata comunicazione tra la scuola e i servizi sociali che seguono il ragazzo.

La vicenda impone una riflessione a tutta la “comunità educante”. È fondamentale che la gestione di comportamenti problematici avvenga all’interno di un Piano Educativo Individualizzato (PEI) condiviso con la famiglia e gli specialisti, che preveda strategie di intervento mirate piuttosto che risposte punitive standardizzate. La tutela della sensibilità e del vissuto della compagna coinvolta rimane un punto centrale, ma la risposta della scuola, secondo i garanti, dovrebbe orientarsi verso interventi educativi che siano rispettosi dei diritti e delle necessità di entrambi gli alunni. La sfida, ancora una volta, è trasformare un momento di crisi in un’opportunità di crescita per l’intera comunità scolastica, riaffermando il principio di una scuola realmente inclusiva e capace di personalizzare i propri interventi.

Di veritas

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