FRASCATI, Italia – Il cosmo vicino a noi è sempre più affollato, o meglio, la nostra capacità di scrutare il buio è diventata esponenzialmente più acuta. L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha recentemente annunciato il superamento di una soglia storica: sono oltre 40.000 gli asteroidi vicini alla Terra (NEA – Near-Earth Asteroids) finora catalogati. Si tratta di corpi celesti la cui orbita li porta a meno di 45 milioni di chilometri da quella terrestre, una distanza che, in termini astronomici, richiede la massima attenzione. Questa pietra miliare, resa nota dal Near-Earth Object Coordination Centre (NEOCC) dell’ESA, situato a Frascati, non è solo un numero, ma il simbolo di un’era di sorveglianza spaziale senza precedenti e di una crescente consapevolezza del nostro posto in un universo dinamico e talvolta pericoloso.
Il ritmo delle scoperte è vertiginoso: basti pensare che ben 10.000 di questi oggetti sono stati individuati solo negli ultimi tre anni, un’accelerazione dovuta al progresso tecnologico di telescopi e strumenti di rilevamento sempre più sofisticati. “Il numero delle scoperte sta aumentando in modo esponenziale”, ha affermato Luca Conversi, responsabile del NEOCC, sottolineando come le future generazioni di telescopi promettano di incrementare ulteriormente questo ritmo di identificazione.
Cosa significa “potenzialmente pericoloso”?
All’interno di questa vasta popolazione di rocce spaziali, circa 2.000 sono classificati come Oggetti Potenzialmente Pericolosi (PHO – Potentially Hazardous Objects). Questa definizione, che può suonare allarmistica, si basa su precisi parametri orbitali e dimensionali. Un oggetto è considerato un PHO se la sua minima distanza di intersezione orbitale con la Terra (MOID) è inferiore a 0,05 Unità Astronomiche (circa 7,5 milioni di chilometri) e se il suo diametro supera i 140-150 metri. Questa grandezza è sufficiente a causare danni devastanti su scala regionale in caso di impatto terrestre, o a generare tsunami catastrofici se l’impatto avvenisse in mare.
Tuttavia, è fondamentale contestualizzare il rischio: per la stragrande maggioranza di questi oggetti, la probabilità di un impatto con il nostro pianeta nei prossimi 100 anni è estremamente bassa, spesso molto inferiore all’1%. La comunità scientifica ritiene inoltre di aver già individuato la quasi totalità degli asteroidi di grandi dimensioni, quelli con un diametro superiore al chilometro capaci di provocare estinzioni di massa. L’attenzione si concentra ora sugli asteroidi di medie dimensioni (tra i 100 e i 300 metri), molto più difficili da individuare e dei quali si stima sia stato scoperto solo il 30% circa.
La risposta europea: un trittico di missioni per la difesa planetaria
L’incremento delle scoperte va di pari passo con lo sviluppo di strategie concrete di difesa planetaria. L’ESA è in prima linea con un portafoglio di missioni ambiziose, progettate non solo per monitorare, ma per comprendere e, in futuro, agire.
- Hera: l’investigatrice della scena del crimine cosmico. Attualmente in viaggio verso il sistema di asteroidi binario Didymos, la missione Hera è la componente europea di una collaborazione internazionale senza precedenti. Il suo compito è studiare da vicino le conseguenze dell’impatto della sonda DART della NASA, che nel 2022 ha colpito con successo l’asteroide minore, Dimorphos, alterandone l’orbita. Hera, che arriverà a destinazione nel 2026, effettuerà una dettagliata “analisi della scena del crimine”, misurando la massa di Dimorphos, analizzando il cratere dell’impatto e studiando la composizione e la struttura interna dell’asteroide. Questi dati saranno cruciali per trasformare l’esperimento di DART in una tecnica di deflessione affidabile e replicabile.
- Ramses: appuntamento con Apophis. Un’altra missione chiave è Ramses (Rapid Apophis Mission for Space Safety), che avrà come obiettivo l’asteroide 99942 Apophis. Questo NEA di circa 350 metri di diametro avrà un passaggio estremamente ravvicinato con la Terra il 13 aprile 2029, transitando a soli 31.000 km dalla superficie, più vicino di alcuni satelliti geostazionari. Ramses accompagnerà Apophis durante questo flyby, studiando come la gravità terrestre ne altererà le caratteristiche fisiche, come la rotazione e la struttura superficiale. Le conoscenze acquisite saranno fondamentali per comprendere la risposta degli asteroidi alle forze esterne, un tassello essenziale per le future strategie di deviazione.
- Neomir: la sentinella contro il Sole. Per colmare una pericolosa lacuna osservativa, l’ESA sta sviluppando Neomir (Near-Earth Object Mission in the Infrared). Questo telescopio spaziale sarà posizionato nel punto di Lagrange L1, tra la Terra e il Sole, un punto di osservazione privilegiato per individuare gli asteroidi che si avvicinano dalla direzione solare, un “punto cieco” per i telescopi terrestri a causa dell’intenso bagliore. Osservando nell’infrarosso, Neomir rileverà il calore emesso dagli asteroidi stessi, riuscendo a identificare oggetti di 20 metri o più grandi con almeno tre settimane di preavviso. Il lancio è previsto per l’inizio degli anni 2030.
Un futuro di collaborazione e vigilanza
Il programma “Space Safety” dell’ESA, lanciato nel 2019, riflette un impegno a lungo termine per la protezione del nostro pianeta. Il potenziamento del NEOCC a Frascati funge da “cuore pulsante” di queste attività, centralizzando la raccolta e l’analisi dei dati provenienti da una rete globale di osservatori. La difesa planetaria è, per sua natura, uno sforzo globale che richiede una stretta collaborazione tra agenzie spaziali, come quella tra ESA e NASA, e organizzazioni internazionali.
L’aver superato la soglia dei 40.000 NEA non è un motivo di allarme, ma una testimonianza del nostro ingegno e della nostra determinazione a comprendere l’ambiente cosmico. Ogni nuovo asteroide scoperto è un pezzo in più nel complesso puzzle della formazione del nostro Sistema Solare e, allo stesso tempo, un dato che ci permette di calcolare e mitigare rischi futuri. La vigilanza è costante, la tecnologia progredisce e missioni come Hera, Ramses e Neomir ci stanno preparando a passare da semplici osservatori a custodi attivi del nostro pianeta.
