La polvere del tempo sembrava aver sigillato per sempre il caso, relegandolo nell’archivio dei “cold case”. Ma dopo 22 anni, la giustizia presenta il conto per l’omicidio di Antonino Pelicane, il commerciante di 33 anni freddato a colpi di pistola il 30 agosto 2003 in corso dei Mille, a Palermo. All’alba di oggi, i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo, supportati dai colleghi di Napoli e Cuneo, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre figure di spicco della famiglia mafiosa di Villabate. Si tratta di Nicola Mandalà, 57 anni, Ignazio Fontana, 52 anni, e Michele Rubino, 65 anni. L’accusa, pesantissima, è di concorso in omicidio premeditato, aggravato dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolare Cosa Nostra.

L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Palermo e disposta dal Gip Walter Turturici, è il frutto di un’intensa attività investigativa condotta tra il 2024 e il 2025 dal Nucleo Investigativo. A squarciare il velo di omertà che per oltre due decenni ha avvolto il delitto sono state le dichiarazioni di un nuovo collaboratore di giustizia, Francesco Terranova, le cui rivelazioni, iniziate nel 2023, sono state giudicate decisive. Le sue parole hanno permesso agli inquirenti di ricomporre un mosaico complesso, incrociando le nuove testimonianze con quelle di altri pentiti e consolidando il quadro accusatorio attraverso intercettazioni e attività tecniche che hanno dimostrato la persistenza dei legami tra gli indagati.

Una Faida Sanguinosa per il Controllo di Villabate

L’omicidio di Antonino Pelicane non fu un atto isolato, ma un episodio cruciale di una violenta guerra di mafia che insanguinò il territorio di Villabate dagli anni ’80 fino ai primi anni 2000. Il conflitto vedeva contrapposte due fazioni interne alla stessa famiglia mafiosa: da un lato quella legata storicamente ai Corleonesi di Totò Riina, a cui appartenevano gli odierni arrestati, e dall’altro quella che faceva riferimento a Stefano Bontade, il “principe di Villagrazia”. Una lotta per il potere e il controllo del territorio che ha lasciato una lunga scia di sangue, iniziata simbolicamente con la “strage di Natale” del 1981 a Bagheria.

Antonino Pelicane, titolare di una ferramenta a Misilmeri, sposato e padre di due figli, era un uomo incensurato. Tuttavia, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, era considerato vicino all’ala mafiosa avversa a quella di Mandalà, Fontana e Rubino. Questa sua presunta appartenenza, in un contesto di feroce regolamento di conti, ne decretò la condanna a morte. La sua eliminazione rappresentava un tassello nella strategia di affermazione del potere da parte della fazione legata ai Corleonesi.

I Profili degli Arrestati e i Legami con i Vertici di Cosa Nostra

Gli uomini finiti in manette non sono figure secondarie. Due di loro, Nicola Mandalà e Ignazio Fontana, erano già detenuti per altri gravi reati, tra cui l’omicidio di Andrea Cottone, avvenuto nel 2002 nell’ambito della stessa faida. Solo Michele Rubino si trovava in stato di libertà.

Nicola Mandalà, in particolare, è una figura di notevole spessore criminale. Figlio di Antonino Mandalà, fondatore nel 1994 del primo club di Forza Italia in Sicilia, è noto per aver organizzato il viaggio del boss latitante Bernardo Provenzano a Marsiglia per un intervento chirurgico nel 2003. Mandalà è stato inoltre un uomo cerniera tra Cosa Nostra siciliana e le famiglie mafiose italo-americane degli Inzerillo e dei Gambino. Già arrestato nel 2005 nell’operazione “Grande Mandamento”, è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Salvatore Geraci.

La Dinamica dell’Agguato

La sera del 30 agosto 2003, Antonino Pelicane fu raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco mentre si trovava in Corso dei Mille. Le ricostruzioni dell’epoca indicarono che l’uomo, dopo aver chiuso il suo negozio a Misilmeri e essersi fermato a comprare frutta e verdura, stava per parcheggiare la sua auto vicino casa quando i sicari entrarono in azione. L’agguato fu eseguito da due killer a bordo di una moto, una Honda Transalp, che fu poi ritrovata abbandonata. Un’esecuzione in pieno stile mafioso, che per 22 anni è rimasta senza colpevoli.

L’Importanza dei Collaboratori di Giustizia

Questa operazione ribadisce, ancora una volta, il ruolo fondamentale dei collaboratori di giustizia nel contrasto alla criminalità organizzata. Le loro dichiarazioni, sebbene spesso giunte a distanza di anni, si rivelano cruciali per disvelare verità nascoste, rompere il muro dell’omertà e assicurare alla giustizia i responsabili di crimini efferati. Il lavoro paziente e meticoloso della DDA e dei Carabinieri ha permesso di dare un nome e un volto ai presunti assassini di Antonino Pelicane, offrendo una risposta, seppur tardiva, alla sua famiglia e all’intera comunità. L’indagine dimostra come la memoria del crimine non si estingua con il passare del tempo e come la lotta dello Stato contro la mafia sia una battaglia incessante, combattuta anche sul filo dei ricordi e del coraggio di chi decide di rompere con il passato.

Di veritas

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