La lunga attesa di Roberto

Roberto, 67 anni, residente in Veneto, convive con un glioma diffuso diagnosticato nel 2006. La sua condizione è peggiorata drasticamente dal 2018, con crisi epilettiche quotidiane e difficoltà motorie che lo espongono a frequenti cadute. Nonostante il dolore e il progressivo deterioramento delle sue funzioni fisiche e cognitive, non esistono terapie efficaci per contrastare la malattia. In una situazione di sofferenza insostenibile e irreversibile, Roberto ha deciso di avvalersi della possibilità di accedere al suicidio medicalmente assistito, come sancito dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale.

La richiesta e l’iter burocratico

Lo scorso ottobre, Roberto ha formalmente richiesto alla sua azienda sanitaria locale (Ulss) di avviare la procedura di verifica delle condizioni necessarie per accedere al suicidio assistito. A dicembre, l’Ulss ha nominato una commissione medica incaricata di effettuare le valutazioni del caso. Tuttavia, a distanza di oltre cinque mesi dalla presentazione della richiesta, le visite domiciliari previste non sono ancora state effettuate, lasciando Roberto in una situazione di incertezza e prolungando inutilmente le sue sofferenze.

La denuncia dell’associazione Luca Coscioni

L’associazione Luca Coscioni, da sempre impegnata nella difesa dei diritti civili e nella promozione del diritto all’autodeterminazione, ha denunciato pubblicamente il caso di Roberto, sottolineando la gravità del ritardo e l’inadempienza dell’azienda sanitaria. L’associazione chiede che vengano immediatamente effettuate le visite domiciliari e che si proceda con la valutazione delle condizioni di Roberto, nel rispetto della sua volontà e della legge.

Il quadro normativo di riferimento

La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, relativa al caso Cappato, ha stabilito che il suicidio assistito è lecito in determinate condizioni: la persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche insopportabili, e deve essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli. La verifica di tali condizioni spetta al servizio sanitario nazionale, che deve garantire un’assistenza adeguata e rispettosa della volontà del paziente.

Il diritto all’autodeterminazione

Il caso di Roberto riaccende il dibattito sul diritto all’autodeterminazione e sulla necessità di garantire a tutti i cittadini la possibilità di scegliere come affrontare la propria sofferenza, nel rispetto della dignità umana e della libertà di coscienza. La vicenda evidenzia, inoltre, le difficoltà e le lungaggini burocratiche che spesso ostacolano l’esercizio di diritti fondamentali, come quello di accedere al suicidio assistito in situazioni di malattia incurabile e sofferenza insopportabile.

Riflessioni sulla vicenda

La vicenda di Roberto solleva interrogativi profondi sull’importanza di garantire un accesso tempestivo e dignitoso al suicidio assistito per coloro che si trovano in condizioni di sofferenza estrema e irreversibile. L’inerzia burocratica e i ritardi ingiustificati possono trasformare un diritto in un’odissea, aggravando ulteriormente la situazione di chi già si trova a fronteggiare una malattia incurabile. È fondamentale che le istituzioni sanitarie si attivino con celerità e sensibilità per rispondere alle richieste di chi desidera esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione, nel pieno rispetto della legge e della dignità umana.

Di veritas

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