Un’esperienza formativa
André Aciman, l’acclamato autore di “Chiamami con il Tuo Nome”, ci porta nel cuore di Roma a metà degli anni Sessanta con il suo nuovo memoir, “My Roman Year”. Il libro, che segue il successo del suo bestseller del 1994 “Ultima Notte ad Alessandria”, racconta la fuga della sua famiglia dall’Egitto di Abdel Nasser e la breve ma intensa esperienza romana che ha segnato profondamente il giovane André.
Il titolo stesso suggerisce la fugacità del soggiorno nella Città Eterna, che durò solo fino al 1968 quando la famiglia Aciman si trasferì a New York. Ma per il sedicenne André, sradicato, straniero e improvvisamente povero, fu un’esperienza che lo cambiò per sempre.
Nato ad Alessandria da una famiglia sefardita espulsa dalla Spagna nel XVI secolo, gli Aciman furono costretti a lasciare l’Egitto nel 1965 a causa delle politiche nazionaliste di Nasser. Arrivarono in Italia con il sogno della Dolce Vita, ma la realtà che li accolse fu ben diversa.
Sbarcati a Napoli in un campo profughi con il fratello minore e la madre sorda fin da bambina, gli Aciman trovarono rifugio in un appartamento di tre stanze nel quartiere Appio-Tuscolano, un tempo utilizzato come bordello.
Mentre il fratello di André si adattò rapidamente alla nuova vita, il timido André trovò conforto nella lettura di Proust e Kafka. “Potevo leggere tutto il giorno senza aprire le persiane per non vedere quel che c’era fuori”, ha raccontato lo scrittore al New York Times.
L’amore per Roma
Ma gradualmente, André iniziò a scoprire il fascino di Roma, non la Roma antica, ma quella del Rinascimento e del Barocco. “Pensi a Fellini, al Vaticano, al Colosseo, ma per me non c’era nulla che mi toccasse come girovagare per quelle strade del centro storico”, ha detto Aciman.
Con un libro in mano o in bicicletta, André esplorò la città, innamorandosi di Roma e dell’idea dell’amore. Nel libro, racconta di essersi innamorato contemporaneamente di due vicine di Via Clelia, una liceale e una sarta, e di Gianlorenzo, un ragazzo che lavorava al mercato.
La fluidità dell’identità
Jonathan Galassi, l’editor di Farrar Straus & Giroux che ha aiutato Aciman a portare a termine il memoir, ha definito la “fluidità” di Aciman come parte del suo appeal. “Da’ ai lettori il permesso di essere ambivalenti. Parte del suo ethos è di essere un outsider – ebreo in Egitto, egiziano in Italia, europeo in America”.
Nel libro, Aciman usa l’espressione “la gente di altrove” per descrivere la sua diaspora familiare, in cui la perpetua assenza di radici è diventata un modo di essere.
Un’esperienza universale
“My Roman Year” non è solo la storia di un adolescente in fuga dall’Egitto, ma una riflessione sull’identità, sull’amore e sulla ricerca di un posto nel mondo. La storia di André Aciman è universale, perché racconta l’esperienza di chiunque si sia sentito straniero, sradicato o in cerca di un senso di appartenenza.