Un’indagine storica sul cinema e le malattie mentali
Il 49° congresso della Società di Storia Internazionale della Medicina, in corso a Salerno, ha presentato un ritrovamento di grande interesse: un articolo del 1924, intitolato “Il cinematografo nell’etiologia di malattie nervose e mentali soprattutto dell’età giovanile”, scritto dallo psichiatra Guglielmo Mondio e rinvenuto nell’archivio del manicomio di Nocera Inferiore. Lo studio, pubblicato su una rivista del manicomio, analizza il comportamento di dodici adolescenti, internati principalmente su richiesta delle famiglie, per presunta dipendenza dal cinema.
L’archivista Francesca Donato, che ha contribuito al ritrovamento del documento, ha spiegato che lo studio del professor Mondio si concentra su giovani con contesti familiari spesso degradati, che venivano internati nel manicomio di Messina a causa di una supposta dipendenza dal cinema. Sebbene non si possa parlare di uno studio scientificamente conclamato per la mancanza di una solida base statistica, l’oggetto dell’analisi è comunque significativo. Un secolo fa si parlava di dipendenza dal cinema, un nuovo mezzo di comunicazione ancora poco conosciuto, mentre oggi si parla di disturbi giovanili legati alla dipendenza da internet.
Il cinema come fonte di “devianze” e “comportamenti libertini”
Mondio descrive il cinema come un fattore di influenza negativa, soprattutto per gli adolescenti. In particolare, si sofferma sul ruolo delle donne sullo schermo, che per la prima volta apparivano come eroine libere e senza pudori. Questa rappresentazione, secondo lo psichiatra, avrebbe influenzato il comportamento delle ragazze che frequentavano il cinema, spingendole a innamorarsi dei loro coetanei e ad assumere comportamenti ritenuti libertini. Per i ragazzi, invece, Mondio parlava di “devianze sessuali”.
L’articolo analizza diversi casi di adolescenti internati, tra i 10 e i 18 anni, con storie familiari difficili e contesti sociali degradati. Si parla di padri alcolisti, madri neuropatiche o isteriche, fratelli epilettici e sorelle affette da nervosismo accentuato. Tra i casi descritti, spicca quello di Francesco B., di 12 anni, che insieme ai suoi compagni di ginnasio, si ripeteva le scene dei film visti, diventando distratto a scuola e trascurando i compiti. Si racconta anche la storia di Concetta e Laura, due sorelle di 14 e 18 anni, arrestate per comportamento e linguaggio osceni dopo aver frequentato il cinema per ore. La maggiore delle due, affetta da nevrosi istero-epilettica e sifilide, venne internata nel manicomio.
Il caso di Tilde: un esempio di “follia” indotta dal cinema?
Un caso particolarmente drammatico è quello di Tilde, una ragazza di 20 anni sposata da due anni, con un padre bevitore e uno zio paterno epilettico. La sua frequentazione del cinema la portò a conoscere un giovane, con il quale iniziò una relazione. Quando il marito scoprì il tradimento, si verificò un violento episodio: il marito sparò al rivale in un cinema, uccidendolo. Tilde, sconvolta dall’accaduto, venne internata nel manicomio con una serie di sintomi: allucinazioni visive, confusione mentale, deliri erotici, agitazione, sitofonia e insonnia.
Mondio interpreta questo caso come un esempio di come il cinema possa indurre “follia” e “gravissimi danni” alla vita psichica, soprattutto per gli adolescenti. La sua analisi, tuttavia, si basa su una prospettiva fortemente influenzata dai pregiudizi sociali dell’epoca, che vedeva il cinema come un mezzo di comunicazione pericoloso e destabilizzante.
Un’interpretazione critica dello studio
Lo studio di Mondio, pur non essendo scientificamente rigoroso, offre un’interessante testimonianza delle paure e delle interpretazioni di un’epoca in cui il cinema era un fenomeno nuovo e poco conosciuto. È importante considerare il contesto storico in cui si inserisce lo studio, un’epoca in cui la società era in profonda trasformazione e i valori tradizionali venivano messi in discussione. Il cinema, con la sua capacità di rappresentare la realtà in modo diverso, poteva essere visto come una minaccia all’ordine sociale.
È possibile che i giovani descritti da Mondio non fossero “folli”, ma semplicemente in cerca di libertà e di un’espressione personale che la società dell’epoca non accettava. Le loro azioni, interpretate come “devianze” e “comportamenti libertini”, potrebbero essere state una reazione contro le ferree regole imposte da una società in cambiamento.
Un’analisi storica e sociale
Lo studio di Mondio, pur con i suoi limiti, ci offre uno spaccato interessante sulle paure e le interpretazioni di un’epoca in cui il cinema era un fenomeno nuovo e poco conosciuto. Ci ricorda come la cultura e la società influenzano la nostra percezione della realtà e come i nuovi mezzi di comunicazione possano essere interpretati come una minaccia all’ordine sociale. È importante, quindi, analizzare criticamente le fonti storiche e contestualizzarle nel loro tempo, per evitare di cadere in interpretazioni semplicistiche e pregiudiziali.