La scarcerazione di Renato Vallanzasca
Renato Vallanzasca, il noto boss della Comasina, è stato scarcerato dopo 52 anni di detenzione. La decisione è stata presa dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, che ha autorizzato il suo trasferimento in una struttura assistenziale per motivi di salute.Vallanzasca, noto per le sue rocambolesche fughe, le sparatorie e i rapimenti, ha sempre affermato di essere un uomo di principio, anche a costo di subire le conseguenze delle sue azioni. In una biografia scritta con la giornalista Micaela Palmieri, intitolata “Malanotte. Rimpiango quasi tutto”, Vallanzasca ripercorre la sua vita criminale, dalle sue azioni violente alle relazioni con le donne.
Il monologo dal carcere
Nel libro, Vallanzasca si racconta in un monologo dal carcere, dove riflette sulla sua vita e sulle sue esperienze. “Io ho fatto una miriade di casini ma sono loro – si legge nel libro – che la vita me l’hanno rubata. Ed è singolare perché ero io, il bandito. Ero io che rapinavo le banche. Loro avrebbero dovuto rieducarmi.”Vallanzasca critica il sistema carcerario, sostenendo che non ha ricevuto la rieducazione che avrebbe dovuto ottenere. “Mi vien da ridere quando sento parlare di giustizia riparativa. Che cazzo avete riparato? Gli errori si pagano, lo so anche troppo bene. Ma una volta che hai saldato il debito che hai con la giustizia – e il momento arriva per tutti, per quasi tutti – bisogna mettere un punto.”
Il desiderio di una vita tranquilla
Vallanzasca esprime il desiderio di vivere in tranquillità, lontano dalla vita criminale che ha condotto. “Vorrei uscire di galera e vivere quello che mi resta magari in una baita di montagna, senza chiedere permesso anche solo per poter andare al cesso.”Nonostante il lungo periodo di detenzione, Vallanzasca ammette che il carcere non gli ha insegnato nulla. “Il carcere non mi ha insegnato niente”, conclude con amarezza.
Riflessioni sulla giustizia e la rieducazione
La scarcerazione di Vallanzasca solleva importanti questioni sulla giustizia e la rieducazione. Il suo racconto mette in luce le difficoltà del sistema carcerario nel rieducare i detenuti e la necessità di una maggiore attenzione al loro reinserimento sociale. La sua esperienza, pur in un contesto di criminalità organizzata, pone interrogativi sul ruolo del carcere nella società e sulla possibilità di una reale riabilitazione.