Condanna per violenza sessuale di gruppo: il caso dei calciatori del Livorno
Il gup di Milano Roberto Crepaldi ha emesso una sentenza di condanna per violenza sessuale di gruppo nei confronti di Mattia Lucarelli, figlio dell’ex attaccante Cristiano, e Federico Apolloni, entrambi calciatori del Livorno. I due giovani sono stati condannati a 3 anni e 7 mesi di reclusione con rito abbreviato. La vittima, una studentessa americana di 22 anni, è stata aggredita sessualmente tra il 26 e il 27 marzo 2022 nell’appartamento milanese di Lucarelli jr. Il giudice ha ritenuto che l’azione non fosse un semplice momento di goliardia, ma una vera e propria azione collettiva volta a carpire il consenso della vittima ad atti sessuali con il maggior numero di loro, nonostante la piena consapevolezza del suo stato di alterazione.
La responsabilità di tutti gli imputati
Oltre a Lucarelli e Apolloni, altri tre amici sono stati condannati a pene più miti, tra i 2 anni e 5 mesi e i 2 anni e 8 mesi di reclusione. Sebbene si trovassero in una stanza diversa da quella del presunto stupro, il giudice ha ritenuto che anche loro fossero responsabili. “Nessuno ha espresso la volontà di dissociarsi” e “quello serbato dagli imputati”, si legge nell’atto, “non è stato un mero contegno passivo”. Il giudice ha sottolineato che “il concreto e decisivo apporto morale di ciascuno dei ragazzi, che si sono continuamente scambiati frasi di istigazione fino a far convergere le loro volontà in un vero e proprio accordo criminoso avente ad oggetto l’abuso delle condizioni della ragazza nell’ ambito di un rapporto sessuale di gruppo, evento poi realmente verificatosi”.
Un caso che pone interrogativi sulla cultura del consenso
Questa sentenza solleva importanti questioni sulla cultura del consenso e sulla responsabilità individuale in contesti di gruppo. È fondamentale che la società si impegni a promuovere una cultura del rispetto e del consenso, in cui ogni individuo si senta empowered a dire di no e a denunciare comportamenti inappropriati. La condanna di tutti gli imputati, anche quelli che non hanno partecipato direttamente all’atto sessuale, dimostra che la responsabilità non si limita al solo autore del reato, ma si estende a tutti coloro che contribuiscono a creare un clima di consenso forzato.