Il caso Khelif e il dilemma dei diritti umani
Il nome di Imane Khelif è sulla bocca di tutti, ma spesso senza cognizione di causa. Mentre il doping sembra essere scomparso dai radar, il caso dell’atleta intersex riaccende il dibattito sui diritti umani e sulla valutazione scientifica nel mondo dello sport. Fabio Pigozzi, presidente dei medici sportivi mondiali e numero uno di Nado Italia, l’Agenzia indipendente antidoping, affronta la questione con chiarezza: “C’è una grande attenzione da parte di tutti sulla questione dei diritti umani. E’ estremamente importante, in questo contesto, il rapporto tra diritti umani e valutazione scientifica. Dal punto di vista medico, abbiamo deciso di affrontarlo sulla base di analisi scientifiche, con lo scopo di integrare il ragionamento sui diritti umani anche tenendo conto delle valutazioni scientifiche”.
Pigozzi sottolinea che per valutare se Imane Khelif sia effettivamente donna, sarebbe necessario avere tutti i dati. Tuttavia, dalle informazioni disponibili, sembra chiaro che si tratti di un caso di intersex, con la presenza di caratteristiche femminili e maschili. “Un atleta non può essere escluso sulla base di una problematica di genere”, afferma Pigozzi, evidenziando la necessità di un’analisi scientifica per identificare il genere, come già avvenuto nel contesto delle Olimpiadi con l’inclusione di Khelif nel genere femminile.
La lotta al doping: un impegno continuo
Nonostante la minore attenzione mediatica, il doping non è scomparso. “Il doping non è morto, se ne parla di meno quando non c’è il caso eclatante”, afferma Pigozzi. Le statistiche mostrano che ad oggi sono stati registrati tre casi di doping, un dato in linea con la media olimpica. “In tre settimane vengono fatti circa quattromila controlli”, spiega Pigozzi, sottolineando il grande sforzo organizzativo e la deterrenza rappresentata dai controlli per gli atleti.
In Italia, la situazione antidoping è positiva, con una cultura consolidata e un sistema organizzativo che esiste dal 1961. “Con il decreto sport convertito in legge, il Governo ha voluto dare un segnale di dignità alla struttura e ha dimostrato anche la grande attenzione che in questo Paese si vuole dare alla tutela dalla salute”, afferma Pigozzi. L’antidoping, secondo il presidente dei medici sportivi mondiali, è uno strumento fondamentale per la protezione della salute dell’atleta, la difesa dell’etica medica e la garanzia di pari opportunità.
La nuova frontiera del doping: il monossido di carbonio
La nuova frontiera del doping potrebbe essere l’uso improprio del monossido di carbonio. Questa metodica, che prevede la creazione artificiale di uno stato di ipossia per stimolare la produzione di globuli rossi, rappresenta un grave rischio per la salute. “Un aspetto che è attenzionato e che sarà argomento di una riunione a fine mese, a Montreal della Health, Medical & Research della Wada, l’Agenzia mondiale antidoping”, spiega Pigozzi.
La sfida continua: Guardie e Ladri
La lotta al doping è una sfida continua, un gioco di Guardie e Ladri. “L’importante è che ci siano sempre più risorse per combattere i ‘ladri'”, afferma Pigozzi. La difesa è stata potenziata con strumenti sempre più sofisticati, ma è necessario un impegno costante nella ricerca scientifica, nell’intelligence investigation e nella sensibilizzazione degli atleti sui rischi dell’abuso di sostanze. “Non dobbiamo mai abbassare la guardia”, conclude Pigozzi.
Riflessioni sul futuro dello sport
Il caso Khelif e la lotta al doping sono due facce della stessa medaglia: la ricerca di un equilibrio tra l’inclusione, il rispetto dei diritti umani e la tutela della salute e dell’etica nello sport. La sfida è complessa e richiede un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti, dalla comunità scientifica alle federazioni sportive, dai governi alle agenzie antidoping. Solo attraverso una collaborazione sinergica e un’attenzione costante ai cambiamenti in atto, sarà possibile garantire un futuro pulito e inclusivo per lo sport.