Condanna in appello per Rosa Fabbiano
La Corte di Assise d’Appello di Milano ha condannato Rosa Fabbiano a 20 anni di reclusione per l’omicidio della madre 84enne, Lucia Cipriano. La sentenza, emessa lo scorso [inserisci data], ha ridotto la pena inflitta in primo grado, dove la donna era stata condannata a 26 anni. I giudici hanno riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti, come richiesto dalla Procura generale.
L’omicidio e il depezzamento del corpo
Secondo le indagini condotte dai carabinieri e coordinate dal pm Elisa Calanducci, Fabbiano avrebbe ucciso la madre strangolandola, forse nel tentativo di farla smettere di gridare. Successivamente, avrebbe fatto a pezzi il corpo, nascondendone i resti nella vasca da bagno dell’abitazione dell’anziana a Melzo, nel Milanese. I resti sarebbero rimasti nella vasca per circa due mesi.
La difesa, rappresentata dall’avvocato Roberta Ligotti, sostiene che non ci siano prove dell’omicidio. Secondo la ricostruzione dell’avvocato, il depezzamento del corpo sarebbe avvenuto dopo una morte naturale dell’anziana. La figlia, incapace di accettare la perdita della madre, avrebbe reagito in modo disordinato.
Le attenuanti generiche e il ruolo di Fabbiano
Il procuratore generale Francesca Nanni ha sottolineato che, rispetto alle altre sorelle, Fabbiano si è fatta carico di una situazione difficile, assumendosi la cura della madre anziana in una condizione precaria. La Nanni ha evidenziato la solitudine e la difficoltà della situazione.
Fabbiano ha dichiarato di sentirsi colpevole perché è stata l’unica a prendersi cura della madre. La sua dichiarazione è stata interpretata come un segno di responsabilità e di affetto, seppur in una situazione drammatica.
Considerazioni sul caso
Il caso di Rosa Fabbiano solleva interrogativi complessi sulla natura dell’omicidio e sulle motivazioni che possono spingere una persona a commettere un atto così estremo. La sentenza della Corte d’Appello, pur riconoscendo la prevalenza delle attenuanti generiche, non può cancellare la gravità del reato. La difesa ha sollevato dubbi sulla ricostruzione dell’omicidio, ma le prove presentate dalle indagini sembrano indicare un’azione premeditata e violenta. Il caso ci ricorda la fragilità della vita umana e la complessità delle relazioni familiari, soprattutto in situazioni di difficoltà e di fragilità.