Un viaggio alle origini in Polonia
Temim Fruchter, scrittrice ebrea queer non binaria antisionista, ha raccontato la genesi del suo testo inedito “La scatola delle lettere”, scritto per il Festival Letterature di Roma, in cui affronta il tema della memoria e delle radici familiari. La scrittrice ha rivelato di essersi recata a Ropczyce, in Polonia, il luogo di nascita e di amore dei suoi bisnonni materni, durante un tour europeo con il gruppo indie rock di cui faceva parte nel 2012.
L’arrivo a Ropczyce, un piccolo villaggio un tempo ebraico, ha suscitato in lei sensazioni contrastanti: da un lato, la percezione di una forte presenza spettrale della comunità ebraica sterminata, dall’altro, la consapevolezza di trovarsi in un luogo vuoto, privo di qualsiasi traccia del passato. Questa ambivalenza, una combinazione di sensazioni disorientanti ma feconde, ha contribuito ad alimentare il suo primo romanzo, “Città che ride”.
La memoria imperfetta e la speculazione narrativa
Fruchter ha spiegato come la memoria imperfetta e la smemoratezza che imperversa nella sua famiglia abbiano influenzato la sua scelta di scrivere un’opera di finzione invece che un memoir. La memoria, secondo la scrittrice, non è un requisito per la speculazione narrativa, come dimostra la fotografia della sua nonna ventenne, che l’ha portata a immaginare una storia queer della sua linea di discendenza matrilineare.
La scrittrice ha poi approfondito il concetto di “storia speculativa queer”, sottolineando come gli archivi delle vite queer e trans siano spesso incompleti e manipolati, con storie relegate ai margini e nascoste dalla storia dominante. La “scatola delle lettere”, metafora di un fascio di prove epistolari che tanto vorrebbero trovare i queer per dimostrare le loro radici, spesso non esiste, ma la queerness può essere letta come un “effimero”, una traccia, un rumore, come scrive José Esteban Munoz.
Il ruolo della letteratura e i modelli di riferimento
Fruchter ha sottolineato come la letteratura possa diventare un luogo per sentire più chiaramente gli echi di storie queer del passato. Il suo romanzo si basa su fonti come il folklore ebraico e la prospettiva queer di pensatori come Munoz, che le hanno fornito gli strumenti per immaginare la ricchezza di una storia cancellata.
La scrittrice ha citato come modello di riferimento il romanzo “Confession of the Fox” di Jordy Rosenberg, che racconta la storia trans di Jack Sheppard, utilizzando indizi effimeri per costruire una narrazione sovversiva. Rosenberg, secondo Fruchter, ha dimostrato il potenziale delle storie speculative nel raggiungere storie nascoste dalle testimonianze dominanti.
Il ritorno a Varsavia e la genesi di “Città che ride”
Nel 2018, Fruchter è tornata a Varsavia per studiare yiddish e approfondire il suo romanzo. L’esperienza è stata per lei “magica”, con la città che le ha dato la sensazione di tornare a casa, nonostante non conoscesse bene il luogo. La scrittrice ha descritto il suo viaggio come un’immersione nella cultura ebraica di Varsavia, un luogo ricco di storia e resistenza, nonostante la sua scarsa conoscenza della lingua polacca.
“Città che ride” è nato da tutte queste esperienze, come racconto del viaggio di Fruchter alle origini dei suoi avi, della sua curiosità per una cultura scomparsa ma ancora presente, e del suo tentativo di onorare il villaggio di Ropshitz attraverso l’invenzione e l’inferenza.
La memoria come ponte tra passato e presente
L’articolo di Temim Fruchter ci offre una riflessione profonda sulla memoria, non come un archivio preciso del passato, ma come un ponte tra passato e presente. La scrittrice, attraverso il suo viaggio personale e la scrittura, dimostra come la memoria possa essere alimentata da sensazioni, intuizioni e immaginazione, soprattutto quando si tratta di storie queer e trans, spesso relegate ai margini della storia ufficiale.