Un viaggio alle radici e la memoria intergenerazionale
Temim Fruchter, autrice del libro d’esordio “Città che ride” pubblicato da Mercurio, si è recata a Ropczyce, in Polonia, il luogo di nascita dei suoi bisnonni materni. Il viaggio, intrapreso nel 2012 durante un tour europeo con il suo gruppo indie rock, ha suscitato in lei sensazioni contrastanti: da un lato, la sensazione di un ritorno a casa, di un luogo familiare, nonostante la consapevolezza di non conoscere davvero quel posto; dall’altro, la consapevolezza che quel luogo era ormai vuoto, privo della vita e della cultura che un tempo lo animavano.L’esperienza ha acceso in lei una riflessione sulla memoria intergenerazionale, sulla difficoltà di ricostruire un passato svanito e sulla misteriosa influenza che esso esercita sul presente. La scrittrice si interroga sul potere dell’immaginazione e sulla capacità di percepire presenze spettrali di un passato che, pur essendo scomparso, sembra rimanere impresso nel luogo.
La memoria imperfetta e la speculazione queer
Fruchter sottolinea come la memoria sia un elemento fondamentale del suo processo creativo, soprattutto perché la sua famiglia è afflitta da una “smemoratezza imperversa”. La memoria fotografica, o anche la semplice capacità di ricordare oggetti quotidiani, non sono qualità che contraddistinguono la sua famiglia. Tuttavia, la memoria imperfetta non è un limite per la speculazione feconda, come dimostra l’esperienza con una fotografia della nonna materna.L’immagine di una nonna giovane, elegante e con un’aria maliziosa, ha suscitato in Fruchter un riconoscimento viscerale, un’intuizione che la nonna, come lei stessa, fosse una “femme queer”, una persona che si esprime attraverso abiti sgargianti e un’attitudine alla trasgressione. Questa intuizione ha aperto in lei una porta immaginaria, un universo in cui le donne della sua linea di discendenza matrilineare avrebbero potuto essere queer come lei.
La scatola delle lettere e la ricerca di tracce queer
Fruchter parla della “scatola delle lettere”, un’espressione che usa con un amico per indicare il desiderio di trovare prove tangibili della queerness dei propri avi. Una scatola piena di lettere che attestino una corrispondenza queer, un archivio che svelerebbe i segreti familiari e darebbe luce alla propria identità. Tuttavia, la scrittrice ammette che, nella maggior parte dei casi, questa scatola di lettere non esiste.La queerness, secondo Fruchter, non è spesso radicata nelle testimonianze storiche, ma si manifesta come un “effimero”, una traccia, un rumore, come suggerisce il teorico queer José Esteban Munoz. La fotografia della nonna è un esempio di effimero, un accenno che ha suscitato in lei un’intuizione sulla possibile queerness del passato.
La letteratura come luogo di memoria e speculazione
Fruchter crede che la letteratura sia il luogo ideale per esplorare la memoria e la speculazione, soprattutto quando si tratta di storie queer che sono state cancellate o marginalizzate dalla storia. Il folklore ebraico e la prospettiva queer le forniscono gli strumenti per immaginare e ricostruire un passato che si è perduto, per dare voce a storie che non hanno trovato spazio negli archivi ufficiali.Cita come esempio il romanzo “Confession of the Fox” di Jordy Rosenberg, una storia speculativa che racconta la vita di Jack Sheppard, criminale britannico del Settecento, come un uomo trans. Rosenberg, secondo Fruchter, ha saputo sfruttare gli indizi effimeri della storia per dare vita a una narrazione sovversiva che restituisce dignità a una storia dimenticata.
Un ritorno a Varsavia e la nascita di “Città che ride”
Nel 2018, Fruchter è tornata a Varsavia per studiare yiddish e approfondire la sua ricerca per il romanzo. La città, un tempo centro urbano per gli ebrei polacchi, l’ha accolta come un ritorno a casa, nonostante la sua scarsa conoscenza della lingua e della cultura locale. L’esperienza ha contribuito a rafforzare il suo legame con la città e con la sua storia familiare.”Città che ride” è il frutto di tutte queste esperienze, un racconto che intreccia la ricerca delle proprie radici, la curiosità per una cultura scomparsa, il tentativo di onorare la memoria del villaggio di Ropshitz attraverso l’invenzione e l’inferenza, e la ricerca di un contatto con la propria linea ancestrale attraverso la narrazione.
La memoria e la speculazione come strumenti di identità
L’articolo di Temim Fruchter ci offre una riflessione profonda sul ruolo della memoria e della speculazione nella costruzione dell’identità. La scrittrice, pur riconoscendo la fragilità della memoria familiare e la difficoltà di ricostruire un passato spesso cancellato, non si lascia scoraggiare da queste difficoltà. Al contrario, abbraccia la speculazione come strumento per dare voce alle storie dimenticate, per immaginare un passato queer che potrebbe essere esistito e per riconnettersi alle proprie radici culturali.