Perquisizioni dell’appartamento di Regeni
Nuove informazioni sono emerse nel corso del processo a carico di quattro agenti dei servizi segreti egiziani accusati del sequestro, delle torture e dell’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, avvenuta nel 2016.
Secondo la testimonianza del colonnello del Ros Onofrio Panebianco, che ha condotto le indagini su delega della Procura di Roma, l’appartamento di Regeni al Cairo è stato perquisito almeno tre volte dagli apparati di sicurezza egiziani. Panebianco ha affermato che le ispezioni sono avvenute anche quando “Regeni era ancora in vita”, basandosi sulle dichiarazioni di due testimoni che hanno raccolto le confidenze del proprietario di casa di Regeni e sui tabulati telefonici.
La prima perquisizione risale al 22 gennaio 2016, tre giorni prima del rapimento del ricercatore friulano. Un secondo sopralluogo sarebbe avvenuto il 28 gennaio, quando Regeni era già nelle mani degli agenti dei servizi, e infine un terzo episodio si sarebbe verificato il 30 gennaio, quando i genitori di Regeni erano già in Egitto per cercare il figlio e alloggiavano proprio nell’appartamento di Dokki.
Le indagini del Ros
Le dichiarazioni del colonnello Panebianco forniscono dettagli importanti sulle indagini condotte dal Ros in merito alla morte di Regeni. La testimonianza conferma che gli inquirenti hanno raccolto elementi che suggeriscono un coinvolgimento degli apparati di sicurezza egiziani nella perquisizione dell’appartamento del ricercatore italiano, anche in momenti antecedenti al suo rapimento.
L’acquisizione di informazioni da testimoni e l’analisi dei tabulati telefonici rappresentano elementi chiave nell’indagine, fornendo indizi su possibili attività svolte dagli apparati di sicurezza egiziani in relazione all’appartamento di Regeni.
Un tassello nel puzzle
Le informazioni emerse durante il processo rappresentano un tassello importante nel complesso puzzle che circonda la morte di Giulio Regeni. Le perquisizioni dell’appartamento, avvenute anche quando Regeni era ancora in vita, suggeriscono un possibile interesse degli apparati di sicurezza egiziani nei confronti del ricercatore italiano, aprendo nuovi interrogativi sulle circostanze della sua scomparsa e sulla sua tragica morte.