La contesa pluriennale sulle acque del Nilo ha raggiunto un nuovo e preoccupante livello di tensione, contrapponendo due giganti africani: l’Etiopia e l’Egitto. Al centro del contendere c’è la Grande Diga della Rinascita Etiope (GERD), un’imponente opera idroelettrica inaugurata lo scorso settembre da Addis Abeba, che Il Cairo percepisce come una minaccia esistenziale alla propria sicurezza idrica ed economica.
Le recenti dichiarazioni dei rispettivi ministeri degli Esteri hanno trasformato un disaccordo tecnico in uno scontro diplomatico dai toni accesi, evocando spettri di colonialismo e destabilizzazione regionale. Un conflitto che rischia di avere ripercussioni ben oltre i confini dei due Paesi, interessando l’intero Corno d’Africa e attirando l’attenzione delle Nazioni Unite.
Le accuse incrociate: “mentalità coloniale” contro “minaccia alla pace”
Il Ministero degli Esteri etiope ha lanciato un duro attacco all’Egitto, accusandolo in una nota ufficiale di voler perpetuare un’egemonia “coloniale” sulle acque del Nilo. Secondo Addis Abeba, alcuni funzionari egiziani sarebbero “immersi in una mentalità coloniale” e utilizzerebbero “metodi obsoleti” per mantenere gli stati vicini in una condizione di debolezza e dipendenza, al fine di assicurarsi il monopolio sul fiume. L’Etiopia respinge con forza la nozione di “diritti storici” avanzata dall’Egitto, sottolineando come l’86% delle acque del Nilo abbia origine proprio nei suoi altopiani, un dato geografico che, a suo avviso, legittima pienamente la costruzione della diga.
La risposta del Cairo non si è fatta attendere. Il Ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha definito le azioni unilaterali dell’Etiopia una “minaccia alla pace e alla sicurezza regionale”. Dopo l’inaugurazione della diga, l’Egitto ha presentato una protesta formale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, bollando l’operazione come un “atto unilaterale illegale”. Il governo egiziano ha avvertito che “l’idea che il Cairo possa chiudere un occhio sui suoi interessi esistenziali è pura illusione”, segnalando una posizione inflessibile. A rincarare la dose è intervenuto anche il Ministro egiziano delle Risorse Idriche, Hani Sewilam, che ha accusato Addis Abeba di una gestione “sconsiderata” dell’acqua, attribuendole persino la responsabilità delle recenti e devastanti inondazioni in Sudan, paese anch’esso rivierasco e direttamente interessato dalla gestione della diga.
La Grande Diga: orgoglio nazionale e motore di sviluppo
Per l’Etiopia, la GERD non è solo un progetto infrastrutturale, ma un simbolo di orgoglio nazionale e di riscatto. Con un costo di quasi 5 miliardi di dollari, finanziato in gran parte con risorse interne, la diga è vista come un elemento cruciale per lo sviluppo economico del Paese. L’obiettivo primario è l’elettrificazione: una volta a pieno regime, la diga dovrebbe generare oltre 6.000 megawatt di elettricità, raddoppiando la capacità produttiva etiope e portando energia a milioni di cittadini che oggi ne sono privi. Questo surplus energetico potrebbe inoltre essere esportato nei paesi vicini, trasformando l’Etiopia in un hub energetico regionale.
Addis Abeba ha sempre sostenuto che la diga porterà benefici a tutta la regione e ha ripetutamente negato di voler danneggiare gli interessi dei Paesi a valle. Le autorità etiopi affermano che la gestione del riempimento e del rilascio dell’acqua avverrà in modo responsabile, tenendo conto delle esigenze di Egitto e Sudan.
Le ragioni del Cairo: una dipendenza vitale dal Nilo
La posizione dell’Egitto è radicata in una dipendenza quasi totale dal Nilo. Il fiume fornisce oltre il 95% delle risorse idriche del Paese, sostenendo l’agricoltura, l’industria e la vita di oltre 100 milioni di persone. Il Cairo teme che il riempimento e la gestione unilaterale della diga da parte dell’Etiopia possano ridurre drasticamente il flusso d’acqua che raggiunge il suo territorio, con conseguenze catastrofiche per la sua economia e la sua stabilità sociale.
I trattati dell’era coloniale, in particolare quelli del 1929 e del 1959, garantivano all’Egitto e al Sudan la quasi totalità delle acque del Nilo, concedendo al Cairo anche un diritto di veto su qualsiasi progetto idrico a monte. L’Etiopia, che non fu mai parte di quegli accordi, li considera oggi obsoleti e ingiusti, un retaggio di un’epoca passata che non rispecchia le attuali necessità di sviluppo dei Paesi rivieraschi a monte.
Il ruolo della comunità internazionale e i negoziati in stallo
Nonostante anni di negoziati, spesso mediati dall’Unione Africana e da altri attori internazionali come le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Unione Europea, le tre nazioni non sono riuscite a raggiungere un accordo vincolante sulla gestione della diga. Le trattative si sono arenate più volte, con Egitto e Sudan che insistono sulla necessità di un accordo legalmente vincolante prima che la diga diventi pienamente operativa, e l’Etiopia che preferisce linee guida più flessibili.
La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione l’escalation verbale, temendo che la “guerra dell’acqua” possa trasformarsi in un conflitto aperto, destabilizzando ulteriormente una regione già fragile. L’appello unanime è quello di un ritorno al dialogo e alla cooperazione per trovare una soluzione equa e ragionevole che tuteli gli interessi di tutti e trasformi il Nilo in una fonte di prosperità condivisa anziché di conflitto.
