La sentenza: ergastolo per Campiti e le decisioni sui responsabili civili

La prima Corte d’Assise della Capitale ha emesso la sentenza che condanna all’ergastolo Claudio Campiti, il 60enne responsabile della strage avvenuta l’11 dicembre 2022 a Fidene, Roma. In quella tragica giornata, Campiti irruppe in una riunione condominiale uccidendo quattro donne. La Corte ha inoltre inflitto tre mesi di pena sospesa al presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma all’epoca dei fatti per omessa custodia dell’arma, mentre ha assolto un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, struttura da cui Campiti prelevò l’arma.
Tuttavia, la Corte ha escluso i ministeri dell’Interno e della Difesa e l’Unione italiana tiro a segno come responsabili civili in riferimento alla custodia dell’arma, riconoscendo invece la responsabilità del Tiro a segno nazionale.

Reazioni alla sentenza: tra soddisfazione e delusione

La sentenza è stata accolta con compostezza dai familiari delle vittime presenti nell’aula bunker di Rebibbia. Nonostante la condanna all’ergastolo di Campiti, la decisione sui responsabili civili ha suscitato amarezza e delusione in molti. Silvio Paganini, sopravvissuto alla strage e colui che bloccò Campiti durante la sparatoria, ha espresso il suo sgomento per la mancata attribuzione di responsabilità ai ministeri, sentendosi tradito dalle istituzioni. Giulio Iachetti, marito di una delle vittime, ha sottolineato l’importanza di una corretta identificazione delle responsabilità, soprattutto quando queste coinvolgono le istituzioni.

La ricostruzione della strage: un piano premeditato

Il processo ha ricostruito come l’omicidio sia stato pianificato nei primi giorni di novembre del 2022, dopo che Campiti ricevette la convocazione dell’assemblea. L’imputato rubò una pistola Glock dal poligono di tiro di Tor di Quinto, un’arma che sapeva usare bene. Secondo l’ordinanza cautelare, Campiti aveva con sé anche un altro caricatore con 13 colpi, 155 cartucce, un coltello a serramanico e un pugnale sub con cosciale calzato, elementi che indicano un piano omicidiario organizzato nei dettagli. Il movente è da ricondurre a un contenzioso con un consorzio immobiliare, il Valleverde, che durava da diversi anni.
La Corte ha inoltre disposto l’invio degli atti in Procura in riferimento alla posizione dell’allora presidente del Tiro a Segno, sezione di Roma, per valutare l’accusa di omicidio come conseguenza di altro reato.

Le falle nel sistema di sicurezza del poligono di tiro

Durante la requisitoria, i pubblici ministeri Giovanni Musarò e Alessandro Lia hanno ricostruito gli eventi di quella drammatica domenica. Hanno sottolineato come Campiti sia entrato nel gazebo con l’intento di uccidere, aprendo il fuoco senza esitazione. Hanno inoltre evidenziato il ruolo cruciale di Silvio Paganini, definito un eroe civile, che ha colto l’attimo per bloccare il killer.
I pm hanno poi puntato il dito contro le falle nel sistema di sicurezza del poligono di tiro di Tor di Quinto, descrivendolo come un colabrodo da cui era possibile allontanarsi indisturbati con un’arma. Hanno sottolineato come eventi analoghi fossero già accaduti senza che fossero prese precauzioni, evidenziando una totale assenza di cautele e un regolamento interno che permetteva a chiunque di uscire dal poligono con una pistola senza passare per la linea di tiro.

Riflessioni sulla sentenza e le responsabilità

La condanna all’ergastolo di Claudio Campiti rappresenta un passo importante verso la giustizia per le vittime della strage di Fidene e per i loro familiari. Tuttavia, la mancata attribuzione di responsabilità civili ai ministeri solleva interrogativi sulla responsabilità delle istituzioni nel garantire la sicurezza dei cittadini. È fondamentale che si faccia piena luce sulle falle nel sistema di controllo delle armi e che vengano adottate misure per evitare che simili tragedie possano ripetersi in futuro. La memoria delle vittime merita un impegno costante per la verità e la giustizia.

Di veritas

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