La revoca dei passaporti: un’escalation nella repressione degli attivisti pro-democrazia
Hong Kong ha intensificato la sua repressione contro gli attivisti democratici fuggiti all’estero, annullando i passaporti di sei ex residenti che si sono rifugiati nel Regno Unito. Tra questi, figurano l’ex deputato Nathan Law, il sindacalista Mung Siu-tat e gli attivisti Simon Cheng, Finn Lau, Fok Ka-chi e Choi Ming-da. Le autorità di Hong Kong li accusano di “continuare ad impegnarsi in attività che mettono in pericolo la sicurezza nazionale”, dopo essere stati già accusati di crimini legati alla sicurezza nazionale, tra cui incitamento alla secessione, alla sovversione e alla collusione straniera, tutti reati punibili con il carcere a vita.
La legge sulla sicurezza nazionale, approvata a marzo dal parlamentino locale (LegCo), fornisce la base giuridica per questa azione. La polizia ha inoltre affermato che chiunque offra fondi, affitti proprietà o gestisca un’attività con le persone nominate rischia fino a sette anni di carcere.
Il contesto: la legge sulla sicurezza nazionale e le proteste del 2019
Questa mossa arriva nel quinto anniversario di un violento scontro tra manifestanti e polizia che segnò una grave escalation nelle proteste di massa pro-democrazia del 2019 a Hong Kong. Le proteste, innescate da una legge sull’estradizione controversa che avrebbe consentito l’estradizione di sospettati in Cina continentale, si sono trasformate in un movimento più ampio che chiedeva riforme democratiche e maggiore autonomia per Hong Kong.
La stretta di Pechino su Hong Kong ha avuto inizio a giugno 2020 con l’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale, corredata da una applicazione retroattiva in risposta alle proteste del 2019. La normativa, che ha rimodellato la società dell’ex colonia e abbattuto il muro di protezione legale che un tempo esisteva tra la città e la Cina, rivendica il potere di ritenere responsabili le persone accusate in tutto il mondo.
Le reazioni internazionali: condanna e preoccupazione
Le taglie sui 13 attivisti, emesse a dicembre, furono duramente condannate da Stati Uniti e Gran Bretagna, con Londra che le definì “una minaccia alla nostra democrazia e ai diritti umani fondamentali”. Il governatore della città John Lee, a sua volta finito nelle sanzioni americane per il suo ruolo di capo della sicurezza della città nel 2019, disse che gli attivisti ricercati saranno “perseguitati a vita”, invitandoli ad arrendersi e costituirsi.
La revoca dei passaporti è stata vista come un’ulteriore escalation nella repressione degli attivisti pro-democrazia da parte di Hong Kong. Molti osservatori temono che questa mossa possa avere un effetto deterrente sugli attivisti che si trovano all’estero e che potrebbero essere costretti a vivere con la paura di essere perseguitati.
Un’ulteriore erosione dell’autonomia di Hong Kong
La revoca dei passaporti a sei attivisti democratici fuggiti nel Regno Unito è un’ulteriore conferma della crescente repressione del dissenso a Hong Kong. La legge sulla sicurezza nazionale, imposta da Pechino nel 2020, ha già avuto un impatto devastante sulla libertà di parola e di riunione nella città, e questa mossa dimostra che il governo cinese è determinato a perseguitare i suoi oppositori anche oltre i confini di Hong Kong. Questa situazione solleva gravi preoccupazioni per il futuro dell’autonomia di Hong Kong e per il rispetto dei diritti umani fondamentali nella città.