Un anno di mistero
L’immagine sbiadita del volto sorridente di Kataleya Chicllo Alvarez è ancora affissa sul banco di un negozio nel quartiere San Jacopino, a Firenze. Un anno è passato da quel 10 giugno in cui la bambina peruviana di 5 anni sparì nel nulla dall’ex hotel Astor, dove viveva con la madre, il fratellino e altre famiglie di immigrati, disperati e senza casa.
L’ex hotel Astor, un tempo un dignitoso albergo a tre stelle, è diventato un luogo di disperazione e di mistero. Dopo la chiusura, l’edificio è stato occupato abusivamente da senza fissa dimora peruviani e rumeni, un contesto che ha contribuito a complicare le indagini sulla scomparsa di Kata.
Le indagini, coordinate dalla procura fiorentina, non si sono mai fermate. Kata è stata portata via dall’Astor con un “piano ben organizzato”, uscendo da via Monteverdi, un’area non coperta dalle telecamere. Il procuratore capo di Firenze, Filippo Spiezia, ha spiegato che la rete di telecamere che circondano l’ex hotel ha un “buco”, un’area non coperta dal sistema di videosorveglianza che è stata sfruttata da chi ha organizzato il rapimento della bambina.
I sequestratori potrebbero aver portato via Kata superando un muro alto due metri e camminando sui tetti dei garage di un condominio per approdare infine in via Monteverdi.
Le piste investigative
Le indagini della procura antimafia si stanno concentrando su quattro piste principali:
- Il traffico di droga
- Il racket delle stanze nell’ex hotel Astor
- Lo scambio di persona
- Gli abusi a sfondo sessuale
Due indagati: i due zii di Kata, il fratello del padre e il fratello della madre. “Al momento non ci sono elementi per poter archiviare la loro posizione”, ha chiarito Spiezia. “Le indagini non si sono mai interrotte, abbiamo coltivato nuove ipotesi ma abbiamo anche proceduto a una rilettura di ampi materiali investigativi raccolti nelle fasi iniziali”.
Il ritardo nell’allarme e il contesto difficile
La complessità dell’inchiesta, secondo il procuratore, dipende dal “ritardo con cui è stato dato l’allarme” sulla scomparsa. “Anche il contesto”, spiega, “non aiuta: abbiamo riscontrato atteggiamenti non collaborativi da parte di peruviani e rumeni e un clima un po’ omertoso”.
La mamma di Kata, Katherine Alvarez, si accorse con ritardo della sparizione della figlia. Alle 15.45 ritornò dal lavoro al supermercato e fece una doccia. Era tranquilla, aveva affidato i bambini al fratello. Poi andò a cercarli, trovò il figlio maggiore ma non Kata. La donna controllò l’edificio, il cortile, la strada, ma non c’era traccia. Chiamò il 112 e venne invitata in caserma, in borgo Ognissanti. La donna sbagliò: prima si fermò alla caserma Fadini, poi alla sede della Polfer. Sono le 20 quando poi firma la denuncia. E scattano le ricerche.
Le ricerche e le nuove prospettive
L’ultima immagine di Kata è ripresa alle 15.13 dalle telecamere puntate sull’ex Astor. Si vede che sale da sola fino al terzo piano la scala antincendio e scende nel cortile. Poi svanisce.
Alla ricerca sono state messe in campo le squadre di elite dei carabinieri con tecniche investigative avanzate. Qualche mese fa i Cacciatori di Calabria hanno setacciato gli oltre 3mila metri quadri dell’ex Astor anche scavando nel cortile e abbattendo muri. Con sonde sofisticate avevano scansionato pareti, intercapedini e tombini. Non pare da escludere che gli investigatori non ritornino ancora nell’edificio per altri accertamenti.
Spiezia è ottimista: “Abbiamo prospettive di sviluppi a breve: tutto dipenderà anche dall’esito di ulteriori attività delegate”.
La speranza di un lieto fine
Il caso di Kata è un dramma che ha scosso l’Italia intera. L’incertezza sulla sorte della bambina e la complessità delle indagini alimentano un senso di angoscia e di preoccupazione. La speranza è che le nuove piste investigative possano portare a un lieto fine, restituendo Kata alla sua famiglia. L’impegno delle autorità e la collaborazione di tutti sono fondamentali per far luce su questo mistero e dare giustizia a una bambina innocente.