Un cortometraggio nato dalla Biennale di Venezia
Il cortometraggio “Dovecote”, diretto da Marco Perego, è un film tutto italiano in corsa per l’Oscar. Il film, girato a Venezia, vede come protagonista Zoe Saldaña, affiancata da Marcello Fonte, Gaia Scodellaro, Marilena Anniballi e dalle detenute del carcere femminile della Giudecca.
L’idea del film è nata durante la Biennale d’Arte di Venezia, quando Perego è stato invitato a partecipare al padiglione della Città del Vaticano allestito all’interno del carcere femminile. In quell’occasione, il regista ha incontrato e ascoltato le detenute, decidendo di realizzare un progetto che potesse raccontare la loro storia.
Un’opera cinematografica e un dialogo aperto
“Dovecote” è un film che si basa su gesti e sguardi più che su parole, e racconta la storia di una donna (Saldaña) che sta per essere scarcerata. Il titolo fa riferimento ai luoghi ristretti in cui vivono le detenute, che dormono in stanzoni da 10 letti.
“Questo film è un’opera cinematografica, ma anche un dialogo aperto sull’invisibilità di queste donne”, spiega Perego. Il regista sottolinea il contrasto tra la reclusione silenziosa (e in bianco e nero) con la città turistica che si muove oltre le mura del carcere.
Un cortometraggio in corsa per l’Oscar
“Dovecote” è stato presentato all’HollyShorts Film Festival ed è tra i 15 cortometraggi live action che l’Academy ha lasciato in gara tra i 180 che erano stati ammessi. Il 17 gennaio, Perego saprà se resta tra i cinque che il 2 marzo potranno vincere la statuetta dorata al Dolby Theatre di Hollywood.
Se il cortometraggio dovesse vincere, sarebbe un grande successo per il cinema italiano e per il regista Marco Perego, che ha saputo raccontare una storia toccante e significativa con un linguaggio cinematografico originale e potente.
Un’opera che mette in luce una realtà spesso dimenticata
“Dovecote” è un film che ci invita a riflettere sulla condizione delle donne detenute, spesso dimenticate dalla società. Il regista Marco Perego ha saputo creare un’opera che è al tempo stesso un’opera d’arte e un documento sociale, che ci permette di guardare al mondo carcerario da un punto di vista inedito.