La disperazione di un padre
“Mi aspetto solo che vengano applicate le leggi. Io sono già morto dentro di fatto. La mia battaglia, ma preferirei chiamarla il mio percorso, è fuori dall’aula. Per me non cambierà nulla, Giulia non la rivedrò più”. Queste le parole strazianti di Gino Cecchettin, padre di Giulia, la giovane vittima dell’omicidio di Pordenone, intervistato nel corso di ‘5 in condotta’ su Rai Radio 2.
Cecchettin ha espresso la sua profonda sofferenza e disperazione, dichiarando di sentirsi “già morto dentro” e di non aspettarsi che il processo a Filippo Turetta, accusato dell’omicidio della figlia, cambi la sua situazione. La sua battaglia, come la definisce lui, è ora rivolta a prevenire tragedie simili.
La battaglia per il futuro
“L’unica cosa che posso fare – ha proseguito Cecchettin – è prodigarmi, come farebbe Giulia, per fare in modo che ce ne siano il meno possibile di casi come il suo, di genitori che debbano piangere una figlia morta. Io so cosa vuol dire e lavorerò per questo”.
Con queste parole, Gino Cecchettin ha sottolineato la sua determinazione a trasformare il suo dolore in un’azione concreta per la prevenzione della violenza e per la tutela dei giovani. La sua battaglia non si limita a chiedere giustizia per la figlia, ma si estende a un impegno più ampio per la sicurezza e il benessere delle future generazioni.
Un dolore profondo e una speranza per il futuro
Le parole di Gino Cecchettin sono un monito per tutti noi. La sua sofferenza è profonda e la sua perdita è immensa. Ma la sua determinazione a trasformare il suo dolore in un’azione concreta per il bene comune è un esempio di coraggio e di speranza. La sua battaglia per prevenire tragedie come quella di Giulia è una battaglia che dobbiamo sostenere tutti insieme, lavorando per un futuro più sicuro e più giusto per i nostri figli.