Lucy, la scoperta che ha cambiato la storia dell’evoluzione umana
Il 24 novembre 1974, in Etiopia, venne scoperta Lucy, un’Australopithecus afarensis che ha rivoluzionato le conoscenze sull’evoluzione umana. Con uno scheletro completo al 40%, datato 3,18 milioni di anni fa, Lucy ha spostato indietro di un milione di anni la data di origine della famiglia umana, infrangendo la barriera dei 3 milioni di anni.
“La scoperta di Lucy ha completamente rivoluzionato le conoscenze e le prospettive sull’evoluzione umana”, afferma l’antropologo Jacopo Moggi Cecchi, professore all’Università di Firenze. “Probabilmente nessuna scoperta nel campo della paleoantropologia ha avuto lo stesso impatto”.
L’antropologo aggiunge che “penso che ci sia ancora molto da scoprire. Adesso abbiamo a disposizione nuove tecniche analitiche che consentono di esaminare l’interno delle ossa, come la microtomografia, e da cui sarà possibile ricavare nuove informazioni”.
Se inizialmente Lucy fu considerata la prima antenata diretta del genere Homo, con il tempo la sua posizione all’interno della famiglia umana è cambiata. “Quella è stata un’ipotesi passeggera”, commenta Moggi Cecchi. “Adesso A. afarensis è considerato da molti un antenato comune ai due generi, Homo e Australopithecus”.
Un’analisi approfondita di Lucy e il suo ruolo nell’evoluzione umana
Cinquant’anni di ricerche hanno svelato alcuni dettagli affascinanti su Lucy, conosciuta in Etiopia anche come ‘Dinqinesh’, cioè ‘sei meravigliosa’.
La sua struttura ossea indica che camminava in posizione eretta, con un bacino e ginocchia adattati per la locomozione bipede. Tuttavia, il suo cervello era piuttosto piccolo e la parte superiore del corpo più simile a quella di una scimmia, il che suggerisce che fosse ancora in grado di arrampicarsi sugli alberi.
Il femore ha rivelato che Lucy era alta poco più di un metro e pesava circa 30 chilogrammi, le dimensioni di un bambino di 6 o 7 anni. La presenza dei denti del giudizio, però, dimostra che era una giovane adulta completamente matura al momento della morte.
Diversi studi indicano che le sue mani, come quelle di altri Australopithecus, erano probabilmente in grado di costruire e maneggiare strumenti, un’ulteriore prova che questa capacità è emersa ben prima dell’Homo. “Non si tratta di una cosa sorprendente”, afferma Moggi Cecchi. “In primo luogo perché l’andatura bipede permetteva di lasciare le mani libere e, in secondo luogo perché sono stati scoperti diversi antichi strumenti in pietra che risalgono a 3,3 milioni di anni fa”.
Lucy è ormai un’icona dell’evoluzione umana, come dimostra l’enorme successo della mostra itinerante a lei dedicata, che ha viaggiato per sei anni negli Stati Uniti prima di tornare al Museo Nazionale etiope di Addis-Abeba.
Il ruolo di Johanson e la comunicazione scientifica
“Il clamore che accompagnò il suo ritrovamento fu anche dovuto alla grande abilità di Johanson, lo scopritore, nel pubblicizzare la cosa: già l’anno successivo, agli scavi era presente un fotografo del National Geographic”, osserva Moggi Cecchi. “Questo ha aperto la strada a un modo di comunicare e di trasmettere queste scoperte al grande pubblico che – conclude – è altrettanto importante”.
La scoperta di Lucy ha dimostrato l’importanza della comunicazione scientifica nel rendere accessibile al grande pubblico le nuove scoperte e i progressi della ricerca.
L’eredità di Lucy e il futuro della paleoantropologia
La scoperta di Lucy ha segnato un punto di svolta nella paleoantropologia, aprendo nuove strade di ricerca e offrendo preziose informazioni sull’evoluzione umana. La sua storia, però, è ancora in corso. Nuove tecnologie e nuove scoperte ci permetteranno di conoscere meglio questo straordinario ominide e di ricostruire con sempre maggiore precisione il nostro passato. L’eredità di Lucy ci ricorda l’importanza di continuare a esplorare il nostro passato per comprendere meglio il presente e il futuro della nostra specie.