Un’abitudine consolidata? Le parolacce nella politica italiana
Dalla ‘stronza’ di Giorgia Meloni, rivolta a Vincenzo De Luca, al ‘vaffanculo’ di Vittorio Sgarbi a Mara Carfagna, fino alle barzellette di Berlusconi su Rosy Bindi, le parolacce in politica sono un fenomeno diffuso. Ma si tratta di una deriva del linguaggio o di un’abitudine consolidata?
Il caso Meloni ha riportato alla ribalta un tema che sembra essere sempre più presente nel dibattito pubblico italiano. Il linguaggio scurrile, infatti, non è un fenomeno nuovo nel mondo della politica, anzi, sembra essere diventato un’abitudine consolidata.
Se a metà degli anni 90 le cattive parole scappavano, come successe al premier Lamberto Dini che interrotto in aula sbottò con “Eh cazzo!”, via via si sono fatte sempre più presenti. Proprio l’aula della Camera nel 2020, è stata teatro di un siparietto poco edificante. Esempio lampante fu Vittorio Sgarbi nel 2020, quando un diverbio tra la vicepresidente della Camera Mara Carfagna costò l’espulsione al deputato dall’Aula di Montecitorio. Il critico d’arte, portato via di peso, rivolse improperi nei confronti della vice presidente urlando “Vaffanculo, stronza, troia”, e altre parole affini.
L’eredità di Berlusconi: barzellette e insulti
Certo, al di là di quelle di Sgarbi, fecero scalpore alcune frasi del presidente Berlusconi. Oltre alla famosa telefonata a Porta a Porta, in cui disse a Bindi direttamente “lei è più bella che intelligente”, fece scalpore la barzelletta raccontata di soppiatto in una visita a L’Aquila, dopo il terremoto, legata all’aspetto di Bindi, con bestemmia finale.
Sempre dall’ex cavaliere, arrivò l’insulto agli italiani che votavano a sinistra: “Ho troppa stima per l’intelligenza degli italiani per credere che ci possono essere in giro tanti coglioni che votano contro il proprio interesse”.
Anche a sinistra non mancano gli episodi poco garbati
Nemmeno a sinistra sono esenti da episodi poco garbati: dal No B-day del Popolo Viola, fino al vaffa-day di Beppe Grillo, le parolacce non sono mancate. Anche dai massimi dirigenti della storia della sinistra qualche cattiva parola è stata usata. Ed ecco che proprio l’ex premier Massimo D’Alema, a Ballarò nel 2010, invitò il direttore Sallusti, ad andare a “farsi fottere”, e nel 2017 , sempre in una trasmissione Tv, redarguì il giornalista Damilano dicendogli “lei è uno stupido”.
Nell’ultimo decennio, nell’universo di centrosinistra, famoso fu il discorso del renziano Giachetti in direzione Pd, che nel 2016 perse il controllo. Il radicale, all’epoca ancora nella squadra dem, infiammò l’assemblea del Partito accusando di incoerenza la minoranza sulla legge elettorale: “Speranza, hai la faccia come il culo”, la frase detta e accolta da polemiche ma anche da applausi.
Riflessioni sull’uso delle parolacce in politica
L’uso di parolacce in politica è un fenomeno complesso che solleva diverse questioni. Da un lato, è comprensibile che in un contesto spesso conflittuale e stressante, le emozioni possano prendere il sopravvento e sfociare in espressioni colorite. Dall’altro, è importante ricordare che i politici hanno un ruolo di esempio e che il loro linguaggio dovrebbe essere sempre rispettoso e appropriato. Un linguaggio scurrile può contribuire a un clima di scontro e aggressività, minando il rispetto reciproco e la fiducia nelle istituzioni. È fondamentale che i politici siano consapevoli dell’impatto delle loro parole e che si sforzino di mantenere un linguaggio dignitoso e professionale, anche in situazioni di forte tensione.