Roma – Il mondo dell’intelligenza artificiale conversazionale è in fermento. Con una mossa decisa, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha imposto a Meta, il gigante tecnologico che controlla WhatsApp, Facebook e Instagram, di sospendere con effetto immediato le nuove condizioni contrattuali che avrebbero di fatto escluso dalla popolare piattaforma di messaggistica tutti i chatbot di intelligenza artificiale concorrenti. Il provvedimento cautelare, emesso per un presunto abuso di posizione dominante, apre un nuovo, cruciale capitolo nella regolamentazione delle Big Tech e nel futuro della competizione nel settore dell’IA.

La genesi dello scontro: l’integrazione di Meta AI e le nuove clausole

La vicenda ha origine nel marzo del 2025, quando Meta ha iniziato a integrare in modo massiccio il proprio assistente virtuale, Meta AI, all’interno di WhatsApp. Gli utenti hanno visto comparire il messaggio “Chiedi a Meta AI” e un’icona dedicata, un cerchio blu, posizionata in modo prominente nella schermata principale, rendendo l’interazione con l’assistente quasi inevitabile. Questa mossa ha subito sollevato le prime perplessità, tanto da spingere il Codacons a presentare un esposto che ha portato, il 22 luglio 2025, all’apertura di un’istruttoria da parte dell’AGCM per presunto abuso di posizione dominante, in violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

La situazione si è aggravata il 15 ottobre, con l’introduzione da parte di Meta di nuove condizioni contrattuali, i cosiddetti “WhatsApp Business Solution Terms”. Queste clausole, la cui piena efficacia era prevista per il 15 gennaio 2026, avrebbero, secondo l’Antitrust, “escluso del tutto dalla piattaforma WhatsApp le imprese concorrenti di Meta AI”. Di fronte al rischio di un “danno grave e irreparabile per la concorrenza”, l’Autorità ha deciso di intervenire con una misura cautelare d’urgenza, congelando l’applicazione di tali termini.

Le ragioni dell’Antitrust: un mercato da proteggere

Secondo l’AGCM, la condotta di Meta appare “abusiva” perché in grado di limitare la produzione, gli sbocchi commerciali e lo sviluppo tecnico nel mercato nascente dei servizi di Chatbot AI, a discapito dei consumatori e dell’innovazione. L’Autorità evidenzia come WhatsApp, con una penetrazione stimata in Italia tra l’80% e il 100% della popolazione, non sia una semplice app di messaggistica, ma un canale fondamentale per le aziende di IA per raggiungere gli utenti.

A sostegno di questa tesi, durante l’istruttoria sono state ascoltate diverse startup e giganti del settore, tra cui OpenAI, la creatrice di ChatGPT. Quest’ultima ha definito WhatsApp “un canale fondamentale per raggiungere gli utenti dei servizi AI”, rivelando di avere decine di milioni di utenti attivi proprio sulla piattaforma. Un altro esempio significativo è quello del chatbot Luzia (proprietà di Elcano), che ha testimoniato come un tentativo di migrare i propri utenti da WhatsApp a un’app proprietaria nel 2024 abbia causato un crollo del 50-60% degli utenti attivi mensili, a dimostrazione della dipendenza dall’ecosistema di Meta.

La difesa di Meta: “WhatsApp non è un app store”

La risposta di Meta non si è fatta attendere. Un portavoce della società ha definito il provvedimento dell’Antitrust “infondato” e ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso. La linea difensiva del colosso di Menlo Park si basa su due punti principali:

  • Pressione sui sistemi: “L’emergere di chatbot di intelligenza artificiale sulle nostre Business API ha messo sotto pressione i nostri sistemi, che non erano stati progettati per supportare questo tipo di utilizzo”, ha spiegato l’azienda.
  • Natura della piattaforma: Meta contesta la premessa dell’Autorità, sostenendo che “WhatsApp non sia, in qualche modo, un app store di fatto. I canali di accesso al mercato per le aziende di IA sono gli app store, i loro siti web e le partnership di settore, non la piattaforma WhatsApp Business”.

In sostanza, Meta rivendica il diritto di gestire la propria infrastruttura e nega che WhatsApp debba fungere da “mercato aperto” per tecnologie concorrenti, una posizione che si scontra frontalmente con la visione dei regolatori europei, sempre più attenti a prevenire la creazione di ecosistemi digitali chiusi.

Le implicazioni per utenti e mercato

La decisione dell’AGCM, presa in coordinamento con la Commissione Europea, è stata accolta con favore da associazioni di consumatori come il Codacons, che ha sottolineato come la vicenda coinvolga 37 milioni di utenti italiani e sollevi questioni anche in termini di privacy e consenso al trattamento dei dati. L’intervento preventivo mira a garantire che il mercato dell’intelligenza artificiale conversazionale possa svilupparsi sulla base del merito e dell’innovazione, e non sulla forza distributiva di una piattaforma dominante.

Se la misura cautelare venisse confermata, gli utenti di WhatsApp in Italia potrebbero continuare a utilizzare chatbot di terze parti, come ChatGPT, Luzia e altri, preservando una pluralità di scelta. Per le imprese sviluppatrici di IA, si tratta di una boccata d’ossigeno che garantisce, almeno per ora, l’accesso a un bacino di utenza vastissimo e cruciale per la crescita. La battaglia legale è appena iniziata e il suo esito definirà non solo le regole del gioco per l’IA su WhatsApp, ma potrebbe creare un precedente fondamentale per la regolamentazione delle grandi piattaforme digitali a livello globale.

Di davinci

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