In una mossa strategica di grande rilevanza per il panorama tecnologico ed economico europeo, Airbus, il gigante dell’aeronautica, ha dichiarato di voler recidere i legami di dipendenza con i colossi del cloud statunitensi. Il gruppo intende affidare la gestione dei suoi dati e delle applicazioni più critiche a un’infrastruttura cloud “veramente sovrana” e basata in Europa. Questa decisione, che si tradurrà in una gara d’appalto all’inizio del 2026, mira a salvaguardare le informazioni più sensibili dalle normative statunitensi, in particolare dal controverso Cloud Act.
Una questione di sovranità digitale ed economica
La posta in gioco è altissima. Come sottolineato da Catherine Jestin, vicepresidente esecutiva per gli Affari digitali di Airbus, si tratta di “informazioni estremamente sensibili dal punto di vista nazionale ed europeo”. Queste non includono solo dati operativi, ma anche elementi cruciali come la pianificazione delle risorse (ERP), i sistemi di produzione (MES), la gestione delle relazioni con i clienti (CRM) e, soprattutto, i dati relativi alla progettazione degli aeromobili (PLM). La necessità di garantire il pieno controllo europeo su questi asset digitali è diventata una priorità non più rinviabile per il costruttore di aerei.
La decisione di Airbus si inserisce in un contesto geopolitico più ampio, dove la “sovranità digitale” è diventata una parola d’ordine per molte nazioni e aziende europee. Le crescenti tensioni commerciali e le preoccupazioni per l’influenza di potenze straniere hanno accelerato la ricerca di alternative tecnologiche indipendenti. La mossa di Airbus potrebbe quindi fare da apripista per altre grandi realtà industriali del continente, stimolando la crescita e l’innovazione dell’ecosistema cloud europeo.
Il nodo del Cloud Act statunitense
Il principale catalizzatore di questa scelta è il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act (Cloud Act), una legge federale statunitense del 2018. Questa normativa consente alle autorità giudiziarie americane di richiedere l’accesso a dati gestiti da provider tecnologici con sede negli Stati Uniti, indipendentemente da dove questi dati siano fisicamente archiviati. In pratica, anche se i server si trovano in Europa, le informazioni restano potenzialmente accessibili al governo USA, creando un palese conflitto con le rigide normative europee sulla protezione dei dati, come il GDPR.
Questo scenario espone le aziende europee a rischi significativi, non solo in termini di privacy, ma anche di spionaggio industriale e perdita di proprietà intellettuale. La stessa Microsoft, in un’udienza in un tribunale francese, ha ammesso di non poter garantire una protezione totale contro le leggi extraterritoriali statunitensi, rafforzando i timori di aziende come Airbus.
I dettagli della gara d’appalto e le sfide future
Airbus prevede di lanciare la gara d’appalto all’inizio del 2026. Il valore del contratto potrebbe raggiungere i 50 milioni di euro su un arco temporale di dieci anni. L’obiettivo è selezionare uno o più fornitori europei in grado di offrire una soluzione che combini innovazione tecnologica, resilienza e standard di sicurezza adeguati alle complesse esigenze del settore aerospaziale.
Tuttavia, la strada non è priva di ostacoli. La stessa Catherine Jestin ha stimato in un “80% di possibilità” la riuscita nell’individuare una soluzione europea pienamente soddisfacente. La principale preoccupazione riguarda la capacità dei provider europei di eguagliare la scala, la potenza e la gamma di servizi offerti dai giganti americani come AWS, Google Cloud e Microsoft Azure. Nonostante queste incertezze, la determinazione di Airbus sembra solida, spinta dalla necessità strategica di assicurare la propria autonomia digitale e proteggere il proprio patrimonio informativo, un asset fondamentale per la competitività e la sicurezza a livello europeo.
