Torino si è trasformata in un teatro di scontro urbano nell’ultimo sabato prima di Natale, a seguito dello sgombero del centro sociale Askatasuna. Occupato dal 1996, lo storico edificio di corso Regina Margherita 47, nel quartiere Vanchiglia, è stato al centro di un’operazione di polizia che ha dato il via a una giornata di alta tensione, culminata in una manifestazione segnata da violenti tafferugli.

La cronaca della giornata: dal corteo pacifico agli scontri

La giornata è iniziata con un corteo pacifico, partito dalla sede delle facoltà umanistiche di Palazzo Nuovo. Oltre tremila persone, tra cui famiglie con bambini, residenti del quartiere, studenti e attivisti, hanno sfilato per le vie della città. Lo slogan “Askatasuna vuol dire libertà, nessuno ci fermerà” e striscioni come “Torino partigiana. Que viva Askatasuna” hanno caratterizzato la prima fase della protesta. La presenza di numerose bandiere No Tav e della Palestina ha testimoniato la convergenza di diverse lotte all’interno della manifestazione.

La situazione è degenerata quando la testa del corteo ha tentato di avvicinarsi all’edificio sgomberato, presidiato da un imponente cordone di forze dell’ordine. Un gruppo di manifestanti incappucciati ha cercato di forzare il blocco, lanciando bottiglie, bombe carta artigianali, fuochi d’artificio e pietre contro gli agenti. La reazione delle forze dell’ordine è stata immediata, con l’uso di idranti, lacrimogeni e cariche di alleggerimento. Gli scontri si sono protratti, con i manifestanti che hanno eretto barricate utilizzando cassonetti dati alle fiamme e hanno risposto alle cariche con bastoni.

Il bilancio finale degli scontri è di almeno 11 agenti dei reparti mobili feriti, colpiti da oggetti contundenti. Questo numero si aggiunge ai dieci feriti tra le forze dell’ordine registrati già nella serata di giovedì, subito dopo lo sgombero.

Le reazioni del mondo politico

L’eco degli scontri ha immediatamente raggiunto i palazzi della politica, scatenando un’ondata di reazioni. Il vicepremier Antonio Tajani ha condannato duramente la violenza, definendo gli attivisti “figli di papà che se la prendono coi figli del popolo”. Sulla stessa linea il ministro della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, che ha parlato di “maledetta violenza” e “barbarica voglia di sfasciare la nostra benedetta democrazia”.

Anche a livello locale le condanne sono state unanimi. Il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, ha definito i comportamenti “inaccettabili”, sottolineando che nulla può giustificare la violenza e i danneggiamenti. Il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, ha affermato che “lo Stato ha confermato che non si lascia intimidire”. Particolarmente duro il commento del vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha invocato le “ruspe sui centri sociali covi di delinquenti”.

Di tenore diverso le dichiarazioni di chi, pur condannando la violenza, ha cercato di riportare l’attenzione sul dialogo interrotto. Tra questi Giorgio Airaudo, segretario regionale della Cgil, e Alice Ravinale, capogruppo di Avs in Consiglio regionale, entrambi garanti del patto con la Città per la trasformazione del piano terra dell’edificio in bene comune, un accordo saltato con lo sgombero. Airaudo ha sostenuto che il Comune “dovesse riprendere quella strada, che è una strada di dialogo”, pur ribadendo che “il discrimine della non violenza è fondamentale”.

Askatasuna: storia e futuro di uno spazio sociale

Askatasuna, che in lingua basca significa “libertà”, è stato per quasi tre decenni un punto di riferimento per l’area antagonista e non solo. L’edificio, un ex asilo di proprietà comunale abbandonato negli anni ’80, è stato occupato nel 1996, diventando un centro di aggregazione culturale e politica. Al suo interno si sono svolti concerti, dibattiti, iniziative di mutualismo e solidarietà, diventando un polo per diverse generazioni di giovani torinesi.

Lo sgombero è avvenuto nonostante fosse in corso un percorso di dialogo con l’amministrazione comunale. Una delibera del gennaio 2024 aveva infatti individuato lo stabile come “bene comune”, avviando un percorso di co-progettazione per la messa in sicurezza e la promozione di attività sociali e culturali rivolte al quartiere. Questo patto è stato dichiarato decaduto dal sindaco Lo Russo a seguito dello sgombero, motivato dal “mancato rispetto delle condizioni” di legalità.

Il futuro dell’edificio è ora incerto. Mentre gli ingressi sono stati murati e l’area è presidiata, il sindaco ha espresso l’intenzione di mantenere la vocazione sociale pubblica dello spazio. Tuttavia, il percorso per raggiungere questo obiettivo, probabilmente attraverso un bando pubblico, si preannuncia lungo e complesso.

Nel frattempo, il movimento non si ferma. Il portavoce di Askatasuna ha annunciato che lo sgombero non è “una data di fine, ma un inizio”, con un’assemblea cittadina prevista per il 17 gennaio e un corteo nazionale il 31 gennaio. La solidarietà è giunta da diverse città italiane e anche dall’estero, in particolare dai Paesi Baschi, a testimonianza della rete di connessioni del centro sociale.

Di veritas

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