La Bolivia sta attraversando ore di altissima tensione. Il cuore politico del Paese, Plaza Murillo a La Paz, è diventato il simbolo di uno scontro frontale tra il governo di recente insediamento e le principali forze sindacali. La Centrale Operaia Boliviana (COB), il più grande e rappresentativo sindacato del Paese, ha alzato il livello della protesta contro il pacchetto di misure economiche varato dal presidente Rodrigo Paz, culminato nel contestatissimo Decreto Supremo 5.503.

La decisione, annunciata dal segretario esecutivo della COB, Mario Argollo, è drastica: un “blocco” permanente attorno all’area presidenziale e il mantenimento dello sciopero generale a tempo indeterminato, già in atto da diversi giorni. Una misura di pressione estrema che arriva nonostante un invito ufficiale al dialogo da parte dell’esecutivo, a testimonianza di una frattura che appare profonda e difficilmente sanabile nel breve periodo.

Le Ragioni della Protesta: il Decreto Supremo 5.503

Al centro del contendere c’è il Decreto Supremo 5.503, un provvedimento che, secondo il governo, si è reso necessario per affrontare la grave crisi economica che attanaglia il paese, caratterizzata da un pesante deficit fiscale e dalla necessità di razionalizzare le risorse statali. La misura più impattante e controversa è senza dubbio la rimozione dei sussidi statali sui carburanti, una politica in vigore da decenni che ha mantenuto i prezzi artificialmente bassi. La sua eliminazione ha provocato un aumento di quasi il 100% dei prezzi alla pompa, con effetti a catena su trasporti, costi di produzione e, di conseguenza, sui prezzi dei beni di prima necessità.

Secondo i sindacati, questa “terapia d’urto” economica rischia di scaricare il peso della crisi interamente sulle spalle dei lavoratori, dei settori produttivi come quello minerario e delle fasce più vulnerabili della popolazione. La COB, insieme alla Federazione Sindacale dei Lavoratori Minieri della Bolivia (FSTMB) e ad altre organizzazioni come la Federazione Nazionale delle Cooperative Minerarie (Fencomin), sostiene che il decreto non solo colpisca direttamente il potere d’acquisto delle famiglie, ma metta anche a rischio le risorse naturali del Paese, favorendo gli interessi di imprese private e capitali stranieri.

La Posizione della COB e del suo Leader Mario Argollo

Mario Argollo, eletto da pochi mesi alla guida della COB in sostituzione dello storico leader Juan Carlos Huarachi, ha adottato una linea di fermezza assoluta. “Il governo deve ritirare il decreto e ascoltare i lavoratori”, ha tuonato Argollo, accusando il presidente Rodrigo Paz di aver tradito le promesse elettorali fatte agli strati popolari. Il leader sindacale ha chiarito che qualsiasi eventuale partecipazione a un tavolo di confronto con l’esecutivo sarà decisa solo dopo un’assemblea con le basi e le organizzazioni regionali, ribadendo che nessuna decisione verrà presa senza un mandato chiaro dei lavoratori.

Nonostante l’apertura formale al dialogo, la sfiducia è palpabile. La COB ha dichiarato che non interromperà le mobilitazioni fino a quando non ci saranno garanzie concrete. “Non retrocederemo di un millimetro”, è il messaggio che arriva dalle piazze, dove migliaia di lavoratori, in particolare minatori giunti da diverse regioni come Oruro e Potosí, hanno marciato per le strade della capitale.

Il Contesto Politico ed Economico

La protesta si inserisce in un contesto politico particolarmente delicato. L’elezione di Rodrigo Paz Pereira, esponente di centro-destra, ha segnato una svolta storica per la Bolivia, interrompendo quasi vent’anni di governi del Movimiento al Socialismo (MAS). Paz ha ereditato una situazione economica complessa, segnata da una crescente inflazione, carenza di dollari e un modello basato sui sussidi non più sostenibile, secondo la sua amministrazione. Il suo governo ha promesso una gestione pragmatica, volta a tagliare gli sprechi sistemici pur cercando di sostenere il potere d’acquisto, ad esempio con un aumento del salario minimo per mitigare gli effetti dell’aumento dei carburanti.

Tuttavia, queste misure non hanno convinto i sindacati, che vedono nel decreto un ritorno a politiche neoliberiste che penalizzano la maggioranza della popolazione. La situazione è esacerbata da una profonda frammentazione politica, con il MAS, ora all’opposizione, diviso al suo interno tra la corrente dell’ex presidente Evo Morales e quella dell’ultimo presidente socialista Luis Arce. Questa instabilità politica rende il clima sociale ancora più incandescente, con blocchi stradali che si registrano in almeno sei dipartimenti del paese, causando gravi disagi alla circolazione e all’economia.

Scenari Futuri: Dialogo o Escalation?

Le prossime ore saranno decisive per capire l’evoluzione della crisi. Da un lato, il governo ha aperto alla possibilità di un dialogo, ma senza mostrare alcuna intenzione di ritirare il decreto. Dall’altro, la COB e i movimenti sociali sono determinati a continuare la protesta ad oltranza, paralizzando di fatto il centro politico e amministrativo del Paese. L’area di Plaza Murillo rimane presidiata dalle forze di sicurezza, e non sono mancate tensioni con gruppi di cittadini favorevoli alle misure governative.

La Bolivia si trova a un bivio: trovare una via d’uscita negoziata che possa contemperare le esigenze di risanamento economico con la protezione sociale, oppure scivolare in un’escalation di conflittualità dalle conseguenze imprevedibili. La capacità di mediazione di entrambe le parti e la volontà di trovare un compromesso saranno fondamentali per evitare che la situazione degeneri ulteriormente.

Di atlante

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