Torino – Una città divisa, un quartiere militarizzato e un futuro incerto per uno dei simboli dei movimenti antagonisti italiani. L’alba di giovedì 18 dicembre ha segnato un punto di svolta per lo storico centro sociale Askatasuna, occupato dal 1996 in un edificio di proprietà comunale in Corso Regina Margherita 47. Un’imponente operazione di polizia giudiziaria ha portato allo sgombero e al sequestro della struttura, scatenando una spirale di tensione che ha attraversato la città per giorni, culminando in violenti scontri e lasciando dietro di sé un acceso dibattito politico e sociale.
IL BLITZ ALL’ALBA E LA CHIUSURA DELLE SCUOLE
Alle prime luci del giorno, un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine – Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza – ha circondato l’edificio, bloccando la circolazione nel quartiere Vanchiglia. L’operazione, condotta dalla Digos, si inserisce in un’indagine più ampia relativa agli assalti avvenuti nei mesi scorsi contro la sede del quotidiano La Stampa, le Officine Grandi Riparazioni (OGR) e gli stabilimenti di Leonardo, episodi maturati a margine di manifestazioni pro-Palestina.
La decisione più impattante per la vita del quartiere è stata la chiusura preventiva, per motivi di ordine pubblico, di tre istituti scolastici adiacenti: la scuola dell’infanzia Gianni Rodari, la scuola primaria Leone Fontana e l’asilo nido “Il Giardino delle Fiabe”. La comunicazione è arrivata alle famiglie solo alle 7:30 del mattino, creando notevoli disagi e accendendo le proteste dei genitori, colti alla sprovvista mentre accompagnavano i propri figli a scuola.
LA ROTTURA DEL PATTO CON IL COMUNE
Durante la perquisizione, all’interno dello stabile sono stati trovati sei attivisti che dormivano al terzo piano. Questo ritrovamento è stato l’elemento scatenante della rottura definitiva del “patto di collaborazione” che il Comune di Torino, guidato dal sindaco Stefano Lo Russo, aveva siglato con un comitato di garanti per trasformare Askatasuna in un “bene comune”. L’accordo, infatti, prevedeva l’utilizzo del solo piano terra, essendo gli altri piani dichiarati inagibili per motivi di sicurezza. La presenza degli attivisti ai piani superiori ha configurato, secondo l’amministrazione, una violazione delle prescrizioni di sicurezza, portando alla decadenza immediata del patto. Il sindaco Lo Russo ha sottolineato che la decisione è stata un “atto amministrativo” conseguente alla comunicazione della Prefettura e non una “decisione politica”.
LA PROTESTA SI ACCENDE: SCONTRI E FERITI
La notizia dello sgombero ha mobilitato immediatamente attivisti e simpatizzanti, che si sono radunati in presidio nei pressi del centro sociale. La tensione è cresciuta nel corso dei giorni, sfociando in un grande corteo di protesta sabato 20 dicembre, a cui hanno partecipato migliaia di persone, stimate tra le 3.000 dalla Questura e le 5.000 dagli organizzatori. Al corteo, partito da Palazzo Nuovo, hanno preso parte non solo militanti ma anche famiglie, residenti del quartiere e delegazioni da altre città come Milano e Genova.
La manifestazione è degenerata in violenti scontri quando un gruppo di manifestanti incappucciati ha tentato di forzare un cordone di polizia a circa 500 metri da Corso Regina Margherita. Al lancio di bottiglie, bombe carta e oggetti contundenti, le forze dell’ordine hanno risposto con idranti, lacrimogeni e cariche. Il bilancio finale è di nove agenti di polizia feriti. La guerriglia urbana ha lasciato segni visibili in città, con arredi urbani divelti e negozi costretti ad abbassare le saracinesche.
UN DIBATTITO POLITICO INFUOCATO
L’operazione ha spaccato il mondo politico, con reazioni opposte e toni molto accesi.
- Il Governo e il centrodestra hanno espresso pieno sostegno allo sgombero. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha parlato di “un segnale chiaro” da parte dello Stato, ribadendo che “non ci deve essere spazio per la violenza nel nostro Paese”. Sulla stessa linea il vicepremier Matteo Salvini, che ha invocato le “ruspe sui centri sociali covi di delinquenti”.
- La sinistra e i movimenti hanno condannato l’azione come un atto repressivo e una scelta politica miope. Per Alleanza Verdi e Sinistra (AVS), si tratta di un’azione che colpisce “un’esperienza sociale, culturale e politica che da decenni fa parte della storia di Torino”. Molte voci critiche hanno accusato il sindaco Lo Russo di aver ceduto alle pressioni del governo, trasformando una questione politica e sociale in un problema di ordine pubblico.
ASKATASUNA: STORIA E SIGNIFICATO
Askatasuna, che in lingua basca significa “libertà”, è stato per quasi trent’anni un punto di riferimento per l’area dell’autonomia e per diverse generazioni di giovani a Torino. Nato nel 1996 dall’occupazione di un ex asilo di fine ‘800, l’Opera Pia Reynero, è stato un luogo di aggregazione, cultura e militanza politica. Dalle lotte per il diritto alla casa al movimento No TAV, Askatasuna ha animato il dibattito cittadino, organizzando concerti, dibattiti e iniziative sociali. La sua storia è stata anche segnata da procedimenti giudiziari, tra cui un processo per associazione sovversiva, poi derubricata, che si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati. Lo sgombero chiude un capitolo lungo e complesso della storia recente di Torino, ma apre nuovi interrogativi sul futuro della gestione dei conflitti sociali e degli spazi di aggregazione in città.
