La tensione sul fronte previdenziale si fa sempre più alta. La CGIL ha lanciato un duro attacco alla manovra economica del Governo, bollando gli interventi in materia di pensioni come una “retromarcia tattica” e non come un cambiamento strutturale. Secondo il principale sindacato italiano, l’impianto complessivo della riforma Fornero non solo non viene superato, ma viene addirittura peggiorato, con una stretta che ricade interamente sulle spalle dei lavoratori. Una critica frontale che riaccende il dibattito su uno dei temi più delicati e sentiti del Paese.
La denuncia della CGIL: “Nessun cambiamento reale, solo una stretta nascosta”
Il cuore della critica della Confederazione Generale Italiana del Lavoro risiede nella convinzione che le modifiche apportate dal Governo siano solo di facciata. “Non c’è alcuna riforma, ma solo il tentativo di nascondere una stretta che resta tutta sulle spalle di chi lavora e che in questo paese paga tasse e contributi”, si legge in una nota ufficiale del sindacato. L’accusa è chiara: l’Esecutivo starebbe provando a intestarsi come un “cambiamento” quella che, nei fatti, è solo una manovra per fare cassa, peggiorando le condizioni di accesso alla pensione per molti cittadini.
Il caso del riscatto della laurea: una vittoria di Pirro?
Uno dei punti più controversi della manovra era l’emendamento che avrebbe ridotto progressivamente il valore degli anni di università riscattati ai fini della pensione anticipata. Questa misura, che avrebbe penalizzato chi ha investito nella propria formazione per anticipare l’uscita dal lavoro, è stata stralciata dopo le forti proteste sindacali e le critiche emerse anche all’interno della maggioranza. La stessa Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha chiesto una correzione, assicurando che eventuali modifiche varranno solo per il futuro e non avranno effetto retroattivo.
Tuttavia, per la CGIL, questo passo indietro non cambia la sostanza. La retromarcia sul riscatto della laurea viene vista come una concessione minima, indotta dalla denuncia sindacale, ma che non altera il quadro generale di un sistema previdenziale che si fa sempre più rigido.
I numeri della stretta: cosa ci attende dal 2028
I dati, secondo il sindacato, parlano chiaro e smentiscono la narrazione governativa di uno stop all’inasprimento. Le stime della Ragioneria Generale dello Stato, che tengono conto dell’aumento dell’aspettativa di vita, delineano un futuro di requisiti sempre più severi. Ecco cosa ci aspetta:
- Dal 2028: l’accesso alla pensione di vecchiaia salirà a 67 anni e 3 mesi, mentre per la pensione anticipata saranno necessari 43 anni e 1 mese di contributi.
- Dal 2035: i requisiti aumenteranno ulteriormente, raggiungendo i 67 anni e 10 mesi di età per la vecchiaia e i 43 anni e 8 mesi di contributi per l’anticipata.
A questo si aggiunge un allungamento progressivo delle cosiddette “finestre mobili”, ovvero il periodo di attesa tra la maturazione dei requisiti e l’effettiva erogazione del primo assegno pensionistico. Questo meccanismo, di fatto, costringe a rimanere al lavoro più a lungo. Numeri che, secondo la CGIL, cancellano le promesse di superamento della legge Fornero e la famosa soglia dei 41 anni di contributi per tutti.
Le categorie più penalizzate: giovani, donne e precari
La CGIL denuncia con forza come queste scelte politiche scarichino i costi del sistema previdenziale sulle nuove generazioni. “Giovani, donne e lavoratrici e lavoratori precari sono le prime vittime di queste scelte”, afferma la Confederazione. Le carriere discontinue, i bassi salari e la precarietà lavorativa stanno costruendo un futuro di pensioni “inadeguate o inesistenti”. L’impatto di questi inasprimenti, infatti, non è uniforme e colpisce in modo sproporzionato chi ha redditi più bassi e carriere meno stabili, accentuando le disuguaglianze.
La posizione del Governo e il contesto politico
Dal canto suo, il Governo difende la manovra come un atto di responsabilità necessario per garantire la sostenibilità a lungo termine dei conti pubblici. Esponenti della maggioranza hanno sottolineato che le strette più severe entreranno in vigore solo tra diversi anni, lasciando tempo per ulteriori confronti e aggiustamenti. Alcune fonti interne alla maggioranza hanno descritto l’inserimento di requisiti futuri più stringenti come “clausole di salvaguardia” formali, richieste dalla Ragioneria dello Stato per garantire la copertura decennale della legge, ma non necessariamente un intento politico definito. Resta il fatto che, dopo anni di promesse elettorali incentrate sul superamento della Legge Fornero del 2011, molti critici, inclusi i sindacati, vedono queste misure come un tradimento di quel mandato e, addirittura, un inasprimento della riforma stessa.
