Bruxelles – Al termine di un vertice protrattosi per oltre 16 ore, i leader dell’Unione Europea hanno raggiunto nella notte un accordo cruciale per il sostegno finanziario all’Ucraina. L’intesa prevede l’erogazione di un prestito da 90 miliardi di euro per coprire le necessità di Kiev nel biennio 2026-2027. La vera notizia, però, risiede nella modalità con cui questi fondi verranno raccolti: si è infatti optato per l’emissione di debito comune, garantito dal bilancio pluriennale comunitario, accantonando definitivamente la controversa proposta di utilizzare gli asset della Banca Centrale Russa congelati in Europa. Una vittoria del “buon senso”, come l’ha definita la premier italiana Giorgia Meloni, che ha visto prevalere la linea della prudenza sostenuta da diversi Paesi.
Il tramonto dell’ipotesi sugli asset russi
La discussione che ha tenuto banco per settimane, e che ha infiammato il dibattito fino alle ultime ore del Consiglio Europeo, riguardava la possibilità di utilizzare i circa 210 miliardi di euro di beni russi bloccati nell’UE come garanzia per un “prestito di riparazione” a favore dell’Ucraina. Questa opzione, fortemente caldeggiata dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal Cancelliere tedesco Friedrich Merz, si è scontrata con un muro di perplessità e opposizioni.
Il principale ostacolo è stato rappresentato dal Belgio. Non un attore casuale, dato che la maggior parte di questi asset, circa 185 miliardi, è custodita presso Euroclear, una società finanziaria con sede a Bruxelles. Il governo belga, guidato dal premier Bart De Wever, ha espresso forti timori riguardo ai rischi legali e finanziari. La preoccupazione principale era quella di esporre il Paese a ritorsioni da parte di Mosca, incluse cause legali miliardarie per la restituzione dei fondi, che avrebbero potuto mettere a dura prova la stabilità economica di una nazione con un PIL annuo di circa 600 miliardi di euro. De Wever aveva chiesto garanzie “giuridicamente vincolanti, incondizionate, irrevocabili, immediate, con responsabilità solidale” da parte degli altri Stati membri, una richiesta definita da alcuni come un “assegno in bianco” difficile da firmare.
Oltre al Belgio, anche altri Paesi, tra cui l’Italia, la Francia, la Bulgaria e Malta, avevano manifestato scetticismo, preoccupati per le possibili conseguenze geopolitiche e per la creazione di un precedente potenzialmente destabilizzante per i mercati finanziari globali.
La soluzione del “Piano B”: debito comune e cooperazione rafforzata
Di fronte all’impossibilità di raggiungere un’intesa sugli asset russi, i leader europei hanno virato sul cosiddetto “Piano B”: un prestito finanziato attraverso l’emissione di Eurobond, garantito dal bilancio dell’Unione. Questa soluzione, sebbene richiedesse l’unanimità, è stata alla fine accettata da tutti i 27 membri, seppur con un’importante novità procedurale.
Per superare le resistenze di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, che si opponevano a gravare ulteriormente sui bilanci nazionali, si è fatto ricorso per la prima volta in questo contesto allo strumento della cooperazione rafforzata. Questo meccanismo, previsto dai trattati UE, consente a un gruppo di Stati membri di procedere con un’iniziativa anche senza la partecipazione di tutti. In questo caso, i tre Paesi hanno ottenuto una clausola di opt-out, che li esenta dal partecipare finanziariamente al prestito per Kiev, pur votando a favore dell’accordo complessivo.
Il prestito sarà a tasso zero per l’Ucraina e il suo rimborso è stato vincolato a una condizione precisa: Kiev dovrà restituire i fondi solo dopo aver ricevuto le riparazioni di guerra da parte della Russia. I leader europei hanno inoltre specificato che, qualora Mosca non dovesse pagare, l’UE si riserva il diritto di utilizzare gli asset russi, che rimarranno congelati, per rimborsare il prestito, nel pieno rispetto del diritto internazionale.
Le reazioni e le prospettive future
L’accordo è stato accolto con soddisfazione dalla maggior parte dei leader. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha espresso la sua gratitudine, sottolineando come questo sostegno rafforzi la resilienza del suo Paese. La premier Meloni ha parlato di una “soluzione che ha una base solida sul piano giuridico e finanziario”. Anche il cancelliere tedesco Merz, pur vedendo sfumare la sua opzione preferita, ha definito l’intesa un “messaggio decisivo” per la fine della guerra.
La decisione segna un passo importante verso una maggiore autonomia strategica dell’UE, dimostrando la capacità di trovare soluzioni unitarie anche su dossier estremamente complessi. Tuttavia, la strada percorsa evidenzia anche le difficoltà intrinseche del processo decisionale europeo, spesso ostaggio di veti e interessi nazionali. Il dibattito sugli asset russi, comunque, non è chiuso: il Consiglio ha invitato il Parlamento e la Commissione a continuare a lavorare sugli aspetti tecnici e giuridici per rendere potenzialmente utilizzabili questi fondi in futuro.
