Sale la tensione sul fronte pensioni. Dopo l’introduzione a sorpresa di un emendamento alla manovra che prevedeva una stretta significativa sia sul riscatto degli anni di laurea sia sulle finestre di uscita per la pensione anticipata, il Governo è stato costretto a una parziale marcia indietro. Un nuovo sub-emendamento, depositato in Commissione Bilancio al Senato, cancella le penalizzazioni per chi ha riscattato il proprio percorso di studi, ma lascia in vigore l’allungamento dei tempi di attesa per accedere all’assegno pensionistico. Una decisione che non placa le polemiche e lascia insoddisfatta anche una parte della maggioranza, con la Lega in prima linea a chiedere ulteriori modifiche.

La stretta iniziale: cosa prevedeva l’emendamento del Governo

La proposta iniziale, inserita in un maxi-emendamento alla Legge di Bilancio, aveva scatenato un’ondata di proteste da parte di sindacati, opposizioni e persino all’interno della stessa maggioranza. L’intervento si articolava su due pilastri principali, destinati a entrare in vigore progressivamente nei prossimi anni per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale.

Il primo punto, e il più controverso, riguardava il riscatto della laurea. La norma prevedeva che, a partire dal 2031, una parte crescente dei mesi riscattati non sarebbe stata conteggiata ai fini del raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata (attualmente fissati a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne). Si partiva da una penalizzazione di sei mesi nel 2031, per arrivare a 30 mesi (due anni e mezzo) a partire dal 2035. Una misura di fatto retroattiva, che avrebbe penalizzato pesantemente chi aveva già investito decine di migliaia di euro nel riscatto, confidando in un’uscita anticipata dal mondo del lavoro.

Il secondo pilastro della stretta riguardava l’allungamento delle cosiddette “finestre mobili”, ovvero il lasso di tempo che intercorre tra la maturazione dei requisiti e l’effettiva erogazione del primo assegno pensionistico. L’emendamento stabiliva un aumento graduale di questa attesa, che sarebbe passata dai 3 mesi attuali a 4 mesi nel 2032, 5 mesi nel 2034 e infine 6 mesi a partire dal 2035.

La retromarcia sul riscatto laurea: diritti acquisiti salvi

Le critiche feroci, culminate con la minaccia di un “fuoco amico” da parte della Lega, hanno spinto l’esecutivo a rivedere la propria posizione. La premier Giorgia Meloni e il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sono intervenuti per rassicurare i cittadini, garantendo che i diritti acquisiti sarebbero stati salvaguardati. “Nessuno che ha riscattato la laurea vedrà cambiata l’attuale situazione, qualsiasi modifica che dovesse intervenire varrà solo per il futuro”, ha dichiarato la Presidente del Consiglio in Senato.

Sulla stessa linea il Ministro Giorgetti, che ha spiegato: “Sono stati tenuti indenni tutti coloro che hanno fatto il riscatto fino adesso, quindi sono stati salvati i cosiddetti diritti acquisiti, e anche chi ha iniziato a pagare e non ha concluso”. Per il futuro, ha aggiunto il ministro, il riscatto resterà possibile ma “quello che si versa aumenterà la pensione che si riceverà ma non inciderà rispetto alla data di pensionamento, è una logica puramente assicurativa”. La correzione si è materializzata in un sub-emendamento che sopprime completamente la parte relativa alla penalizzazione del riscatto laurea.

Le finestre mobili: un allungamento che resta e fa discutere

Se sul riscatto laurea si è arrivati a una cancellazione totale della norma, lo stesso non si può dire per le finestre mobili. L’allungamento progressivo fino a sei mesi a partire dal 2035 rimane, nonostante il malcontento espresso da più parti. Questa misura, da cui si attendono i maggiori risparmi per le casse dello Stato (circa 1,4 miliardi a regime), continua a essere oggetto di scontro.

Il senatore della Lega e relatore della manovra, Claudio Borghi, ha commentato a caldo la riformulazione: “Possiamo dire che miglioriamo rispetto a ieri perché non ci sono i riscatti delle lauree, ma non ci sono le finestre”. Borghi ha annunciato che il suo partito chiederà al governo “una riformulazione differente”, sottolineando la necessità di “evitare di dare adito a dubbi” anche se si parla di un futuro remoto.

L’allungamento delle finestre, pur non modificando i requisiti contributivi sulla carta, di fatto posticipa l’uscita effettiva dal lavoro, costringendo i lavoratori a rimanere in servizio per un periodo più lungo prima di poter percepire la pensione. Una modifica che, secondo i sindacati, si traduce in un inasprimento mascherato dei requisiti pensionistici.

Le reazioni politiche e sindacali

La vicenda ha creato un vero e proprio “pasticcio” politico, come definito dalle opposizioni. Il Partito Democratico ha accusato il governo di procedere per “improvvisazione e spericolatezza” su un tema delicato come quello delle pensioni, che incide sulle scelte di vita di milioni di persone. I sindacati hanno espresso forte preoccupazione, parlando di un “aumento abnorme dell’età pensionabile” nella versione originale dell’emendamento e giudicando le misure “pesanti ed incomprensibili”. Anche dopo la parziale retromarcia, la Cgil ha definito la norma “incostituzionale” in quanto negherebbe il diritto alla pensione. La confusione e i continui cambiamenti hanno portato a una sospensione dei lavori della Commissione Bilancio, in attesa di trovare una quadra definitiva all’interno della maggioranza. Alla fine, per consentire l’approvazione della manovra, si è arrivati a un congelamento totale degli interventi in materia previdenziale, con la promessa di affrontare la questione in un decreto successivo.

Di atlante

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