L’AQUILA – La Corte d’Appello dell’Aquila ha messo un punto, almeno per ora, su una vicenda che ha profondamente diviso l’opinione pubblica, la politica e il sistema giudiziario. Con una decisione del 19 dicembre 2025, i giudici di secondo grado hanno respinto il ricorso presentato dai legali della famiglia anglo-australiana che viveva in un casolare isolato nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti. Resta quindi confermata l’ordinanza del Tribunale per i Minorenni che a novembre aveva disposto la sospensione della responsabilità genitoriale per i genitori, Nathan Trevallion e Catherine Birmingham, e il conseguente allontanamento dei loro tre figli, una bambina di otto anni e due gemelli di sei. I minori rimarranno nella struttura protetta di Vasto dove erano stati trasferiti, alla presenza della madre.
La sentenza della Corte d’Appello chiude un capitolo di una battaglia legale complessa, ma non spegne i riflettori su un caso che tocca corde sensibili: il diritto dei genitori a scegliere uno stile di vita non convenzionale per sé e per i propri figli e il dovere dello Stato di intervenire quando si ritiene che tale scelta possa ledere i diritti fondamentali dei minori.
Le origini della vicenda: uno stile di vita “off-grid”
La storia della famiglia Trevallion-Birmingham è quella di una scelta radicale. La coppia, lui di origini inglesi e lei australiane, aveva deciso di vivere in un casolare nei boschi abruzzesi, lontano dalla società ipertecnologica, in totale immersione nella natura. Una vita senza elettricità, acqua corrente e gas, basata su principi di sostenibilità e ambientalismo estremo. La vicenda è emersa pubblicamente nel 2024, quando un’intossicazione alimentare da funghi portò la famiglia in ospedale, innescando i controlli dei servizi sociali e delle forze dell’ordine. Le condizioni abitative, giudicate non idonee, e le preoccupazioni per l’istruzione e la socializzazione dei bambini hanno dato il via al procedimento giudiziario.
Le ragioni del Tribunale e la difesa dei genitori
Il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila, nel disporre la misura drastica della sospensione della responsabilità genitoriale, ha individuato “gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di relazione e alla riservatezza”. Secondo i giudici, lo stile di vita scelto dai genitori ledeva il “diritto alla vita di relazione” dei bambini. A questo si aggiungevano le preoccupazioni per il livello di istruzione, con una relazione della tutrice che sosteneva che i minori non sapessero leggere e stessero imparando solo allora l’alfabeto.
La difesa, sostenuta dagli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, ha contestato punto per punto le motivazioni del Tribunale. I legali hanno sostenuto che:
- Mancava l’urgenza: Non c’era un’emergenza tale da giustificare l’intervento delle forze dell’ordine e un provvedimento così drastico.
- Istruzione parentale garantita: I genitori stavano provvedendo all’istruzione parentale, diritto garantito dalla Costituzione, e avevano già iscritto la figlia maggiore all’esame di idoneità, con documentazione prodotta però solo dopo l’ordinanza.
- Socializzazione esistente: La presunta “deprivazione tra pari” era smentita da testimonianze di vicini, raccolte anche dal programma “Le Iene”, secondo cui i bambini giocavano regolarmente con altri coetanei.
- Mancato ascolto dei minori: La difesa ha anche lamentato la violazione della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, sostenendo che l’ascolto dei minori, avvenuto 15 giorni prima dell’ordinanza, non avrebbe evidenziato condizioni di isolamento e sarebbe stato disatteso.
Il ruolo dei media e le aperture della famiglia
La vicenda ha avuto un’enorme eco mediatica, amplificata anche da un servizio della trasmissione “Le Iene” che ha mostrato la quotidianità della famiglia. Se da un lato il servizio ha raccolto testimonianze a favore della famiglia, dall’altro è stato criticato dai giudici, secondo cui i genitori avrebbero usato i figli per “conseguire un risultato processuale favorevole”, violando la loro privacy.
Nel tentativo di riottenere i figli, i genitori avevano mostrato un’apertura al cambiamento. Davanti alla Corte d’Appello, i legali avevano depositato documenti che attestavano la disponibilità della coppia ad adeguare l’abitazione, a far frequentare la scuola ai figli e a completare il percorso vaccinale. Queste aperture, tuttavia, non sono state ritenute sufficienti dai giudici di secondo grado per modificare la decisione iniziale.
Le reazioni e il futuro
La conferma della sentenza ha suscitato reazioni immediate, inclusa quella del vicepremier Matteo Salvini che ha definito la decisione una “vergogna”, sostenendo che “i bambini non sono proprietà dello Stato”. La vicenda continua a porre interrogativi profondi. Da un lato, la relazione dei servizi sociali descrive bambini spaventati da un interruttore della luce o dal soffione della doccia, segnali di un “isolamento protratto nel tempo”. Dall’altro, c’è la battaglia di due genitori per un modello di vita alternativo e il loro dolore per la separazione dai figli. La strada giudiziaria non è ancora conclusa e il caso di Palmoli rimarrà un precedente importante nel dibattito sulla genitorialità e i diritti dell’infanzia.
