Roma – Un’aula parlamentare infuocata ha fatto da sfondo alle comunicazioni della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista dell’imminente Consiglio Europeo. Quello che doveva essere un passaggio istituzionale si è trasformato in un vero e proprio processo politico all’operato del governo, in particolare sulla gestione dei dossier più caldi dello scenario internazionale: dal conflitto in Ucraina ai rapporti con gli Stati Uniti, passando per la crisi in Medio Oriente e le difficoltà economiche interne. Le opposizioni, pur presentandosi con ben sei risoluzioni distinte che ne evidenziano le profonde divergenze, hanno trovato un fronte comune nell’attaccare la linea dell’esecutivo, accusato di “ambiguità” e “immobilismo”.

Le critiche delle opposizioni: “La voce dell’Italia è un sussurro”

A guidare la carica delle minoranze è stata la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, che ha accusato la premier di ridurre la voce dell’Italia a un “sussurro” sullo scenario internazionale. “L’Italia deve avere una voce autorevole”, ha tuonato Schlein, puntando il dito contro un presunto attendismo del governo, “in attesa di capire che aria tira a Washington”. L’affondo più duro è stato riservato al Vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, definito ambiguamente in bilico tra il suo ruolo istituzionale e quello di “portavoce di Mosca”.

Sulla stessa linea si è mosso il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, che ha messo in guardia la premier sulla delicata questione degli asset russi congelati. “Dopo le irresponsabili firme per il riarmo messe senza passare da un voto degli italiani, stia attenta alle firme che mette sugli asset russi. È pericolosissimo”, ha dichiarato Conte, sollevando dubbi sulla trasparenza e le implicazioni delle decisioni governative. Le accuse di ambiguità e mancanza di una linea chiara sono state riprese da tutti i banchi dell’opposizione, da Azione a Italia Viva, da Alleanza Verdi e Sinistra a +Europa, creando un coro di critiche unanime.

Carlo Calenda, leader di Azione, ha usato parole durissime, affermando che “oggi si certifica che il governo e la sinistra hanno deciso di abbandonare l’Ucraina”. Matteo Renzi ha incalzato la premier, sostenendo che debba “scegliere tra Tajani e Salvini”, alludendo alle diverse sensibilità in politica estera all’interno della stessa maggioranza.

La Babele delle opposizioni sul dossier Ucraina

Nonostante l’unità nelle critiche, il dibattito ha impietosamente messo a nudo la profonda frammentazione del cosiddetto “campo largo”, soprattutto sul tema cruciale del sostegno all’Ucraina. Le sei diverse risoluzioni presentate dalle opposizioni hanno evidenziato posizioni a tratti inconciliabili.

  • Il Partito Democratico ha chiesto di “garantire pieno sostegno” a Kiev “mediante tutte le forme di assistenza necessarie”, includendo l’ipotesi di un “utilizzo legalmente fondato dei beni russi congelati”.
  • Il Movimento 5 Stelle si è posizionato all’opposto, chiedendo lo stop all’invio di armi e rigettando categoricamente l’uso degli asset di Mosca.
  • Alleanza Verdi e Sinistra (Avs) ha auspicato un accordo di pace che escluda il dispiegamento di contingenti militari NATO o UE.
  • Azione e +Europa si sono mostrate più allineate al PD, chiedendo di rafforzare il sostegno economico e militare a Kiev e di puntare sugli asset sovrani russi.
  • Italia Viva ha posto l’accento sulla necessità di sostenere il percorso di integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea.

Questa divisione ha offerto alla premier Meloni un facile assist per ribaltare le accuse. “Noi ci siamo presentati con un’unica risoluzione per tre partiti. Le opposizioni hanno presentato cinque risoluzioni diverse per cinque partiti”, ha sottolineato la Presidente del Consiglio, evidenziando le contraddizioni interne al fronte avversario. “Le vostre sono tre posizioni diverse, è vero che avete una risoluzione unica ma non ci avete scritto niente dentro”, ha ribattuto a stretto giro Schlein, accusando la maggioranza di aver prodotto un testo vuoto pur di mascherare le proprie divisioni interne.

La risoluzione della maggioranza: tra sostegno a Kiev e cautela

Alla fine della lunga giornata parlamentare, solo la risoluzione di maggioranza ha ottenuto il via libera delle Aule di Camera e Senato, con 177 voti favorevoli e 123 contrari a Montecitorio. Il testo, frutto di un attento lavoro di mediazione tra le diverse anime del centrodestra, impegna il governo a “proseguire ogni sforzo per sostenere il processo di pace per l’Ucraina, continuando a collaborare con gli Stati Uniti e mantenendo coeso il fronte europeo”.

Sul tema degli asset russi, la premier ha mantenuto una linea di grande cautela, spiegando che decisioni di tale portata non possono che essere prese a livello dei leader europei e che è necessario avere “solide basi giuridiche e finanziarie” per evitare rischi di ritorsione e instabilità. “Trovare una soluzione sostenibile sarà tutt’altro che semplice”, ha ammesso Meloni, chiarendo che l’Italia è aperta a valutare ogni opzione ma senza forzature e chiedendo chiarezza sui possibili rischi. La Lega ha rivendicato l’inserimento di paletti come il rispetto dello “stato di diritto” e la “lotta alla corruzione” per i finanziamenti a Kiev.

La premier ha inoltre ribadito con forza che l’Italia non invierà soldati in Ucraina, pur confermando il sostegno a Kiev. “La Russia si è impantanata in una durissima guerra di posizione”, ha affermato Meloni, sostenendo che questa difficoltà è l’unica leva per costringere Mosca a un accordo.

Medio Oriente e altri fronti

Il dibattito ha toccato anche la crisi in Medio Oriente. Mentre il centrosinistra ha insistito sulla necessità di riconoscere lo Stato di Palestina, la risoluzione di maggioranza impegna il governo a “collaborare per l’attuazione dell’accordo di pace di Trump” e a sostenere l’Autorità Palestinese in un’ottica della soluzione “due popoli e due stati”.

In conclusione, la giornata parlamentare ha fotografato un quadro politico complesso: un governo che cerca di mediare tra le diverse pressioni interne e internazionali, e un’opposizione che, seppur capace di colpire unitariamente sui fianchi l’esecutivo, si rivela profondamente divisa sulle grandi questioni strategiche, lasciando aperti ampi interrogativi sulla sua capacità di proporsi come alternativa credibile di governo.

Di veritas

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