ROMA – Un segnale d’allarme risuona nel panorama digitale italiano: oltre la metà dei giovani tra i 10 e i 25 anni, una percentuale sconcertante del 56%, ammette di utilizzare canali illeciti per accedere a film, serie TV, eventi sportivi e altri contenuti audiovisivi. Questo dato, cuore pulsante di una dettagliata indagine promossa dalla FAPAV (Federazione per la Tutela delle Industrie dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali) e realizzata da Ipsos Doxa, è stato presentato a Roma presso la sede dell’associazione Civita, gettando una luce cruda su un fenomeno radicato e complesso, che intreccia abitudini digitali, percezione del rischio e modelli culturali.

L’analisi, intitolata “Industrie dei contenuti, consumi culturali e comportamenti illeciti. Stili di vita dei giovani italiani e pirateria audiovisiva”, non si limita a quantificare il fenomeno, ma ne esplora le profonde radici motivazionali e psicologiche. Emerge un quadro in cui la pirateria non è più solo una scorciatoia per un consumo a costo zero, ma un comportamento normalizzato, quasi privo della connotazione di reato agli occhi dei suoi stessi attori.

Le due facce della pirateria giovanile: emulazione e ribellione

L’indagine delinea due profili distinti all’interno della vasta popolazione di giovani “pirati”. Da un lato, i giovanissimi (10-14 anni), che agiscono prevalentemente per emulazione. In questa fascia d’età, la scelta di accedere a contenuti illegali è spesso guidata dal comportamento dei coetanei, in una fase della vita caratterizzata dalla ricerca di accettazione e dalla costruzione dell’identità all’interno del gruppo. Non vi è una rigida convinzione ideologica, quanto piuttosto l’adozione di una pratica diffusa e percepita come normale.

Dall’altro lato, la fascia adolescenziale e post-adolescenziale (15-25 anni) mostra un atteggiamento più strutturato. In questo gruppo, l’atto illecito viene spesso razionalizzato e giustificato dal desiderio di opporsi a un sistema – quello della distribuzione legale di contenuti – percepito come distante, costoso o ingiusto. Questa sorta di “ribellione digitale” si nutre della convinzione che i controlli e le sanzioni siano eventi rari e improbabili, alimentando un senso di impunità.

Un paradosso pericoloso: l’alta esposizione ai rischi e la bassa percezione del pericolo

Uno degli aspetti più inquietanti che emergono dalla ricerca è la netta discrepanza tra i rischi reali corsi e la loro percezione. Sebbene virus e malware siano considerati una minaccia concreta dal 40% dei 10-14enni e dal 44% dei 15-25enni, e le truffe preoccupino maggiormente i più piccoli (35% contro il 28-29% dei più grandi), i comportamenti non cambiano.

Il dato più paradossale è che ben sei pirati su dieci nella fascia 15-25 anni (il 62%) dichiarano di aver già subito attacchi informatici (come furto di dati o infezioni da malware) a seguito dell’accesso a contenuti illeciti. Tuttavia, questa esperienza diretta non si traduce in un aumento della prudenza. Anzi, sembra che i giovani sviluppino strategie di “mitigazione del rischio”, come l’utilizzo di dispositivi dedicati esclusivamente alla pirateria, che li porta a minimizzare ulteriormente la percezione del pericolo. Questa dinamica è aggravata dalla sensazione che la pirateria sia un crimine “senza vittime” visibili, un fenomeno talmente diffuso da essere socialmente accettato, con una sostanziale indifferenza verso i danni economici e occupazionali inflitti all’industria creativa.

Il ruolo cruciale (e mancato) di scuola e famiglia

Come si è arrivati a questa diffusa inconsapevolezza? L’indagine FAPAV-Ipsos punta il dito verso un vuoto educativo. Solo il 33% dei 10-14enni e il 38% dei 15-25enni afferma di aver ricevuto informazioni specifiche sui rischi legati alla pirateria. Quei pochi che hanno ricevuto una qualche forma di educazione in merito, la indicano provenire principalmente dalla scuola o dalla famiglia. Questo evidenzia il ruolo centrale di queste due agenzie educative nel plasmare una “cornice culturale” orientata alla legalità e alla consapevolezza digitale.

Interessante notare, come sottolinea il rapporto, che “i pirati si dicono più informati dei rischi rispetto ai non pirati”. Questo suggerisce che una semplice informazione generale non è sufficiente a modificare comportamenti così radicati. Occorre, secondo gli analisti, una “narrazione collettiva-massmediatica” che trasformi la percezione dell’atto di pirateria da semplice infrazione a reato con conseguenze tangibili.

La risposta istituzionale: tra nuove leggi e la necessità di una rivoluzione culturale

Le istituzioni non sono rimaste a guardare. Federico Bagnoli Rossi, presidente di FAPAV, ha sottolineato come la nuova normativa italiana sia “tra le più evolute a livello europeo”, citando in particolare l’innovativa procedura dell’AGCOM che permette il blocco dei siti illegali in soli 30 minuti tramite la piattaforma Piracy Shield. “Ma non è sufficiente,” ha ammonito Bagnoli Rossi. “Serve maggiore comunicazione e al tempo stesso occorre promuovere campagne di sensibilizzazione e di educazione alla legalità”.

Un concetto ribadito anche da Larissa Knapp, vicepresidente esecutiva della Motion Picture Association (MPA), che ha definito le attività educative “lo strumento più potente a lungo termine che abbiamo per plasmare abitudini digitali responsabili”. Ha inoltre lodato l’Italia come “leader globale” nel contrasto alla pirateria, grazie al quadro normativo e all’azione di Polizia Postale e Guardia di Finanza. Durante l’evento, sono stati infatti consegnati i premi FAPAV/ACE proprio a queste due forze dell’ordine per il loro impegno.

Dello stesso avviso anche Alessandro Usai, presidente di ANICA, che ha ricordato i costi elevatissimi della produzione audiovisiva e la necessità di tutelare gli investimenti nel tempo. “Penso che l’educazione e la scuola siano importantissimi, ma temo sia un passaggio fondamentale essere capaci di evitare che l’atto sia possibile”, ha dichiarato, sottolineando l’importanza di un approccio che combini prevenzione e repressione.

La lotta alla pirateria, come evidenziato anche da Luigi De Siervo, AD della Lega Calcio Serie A, non può essere vinta solo con sanzioni, ma richiede un “percorso di crescita educativa e culturale” per formare una coscienza civica e digitale nelle nuove generazioni. Un percorso che, alla luce dei dati, appare oggi più urgente che mai.

Di davinci

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