ROMA – La transizione verso la mobilità elettrica in Italia assomiglia sempre più a una corsa a ostacoli, dove il traguardo sembra allontanarsi anziché avvicinarsi. Mentre l’Europa accelera, il nostro Paese resta fermo al palo, con una quota di mercato per le auto elettriche pure (BEV) che da tempo non riesce a superare la soglia psicologica del 5% delle nuove immatricolazioni. Un dato allarmante se confrontato con la media degli altri principali mercati europei, dove la penetrazione supera il 21%, creando un divario che non è solo numerico, ma strategico e culturale. L’analisi, lucida e a tratti spietata, arriva da Andrea Cardinali, Direttore Generale di UNRAE (l’Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri), che dipinge il quadro di una “promessa incompiuta”, un potenziale enorme frenato da una serie di concause strutturali che richiedono interventi non più procrastinabili.
Un Mercato Depresso e il Confronto Impari con l’Europa
Il contesto generale non aiuta. Il mercato automobilistico italiano è ancora in affanno, con volumi inferiori di circa il 20% rispetto ai livelli pre-pandemia. In questo scenario di debolezza, la stagnazione dell’elettrico pesa ancora di più. La quota italiana del 5% è appena un quarto di quella registrata mediamente nel resto d’Europa. Paesi come Francia, Germania e Regno Unito viaggiano su percentuali a doppia cifra, dimostrando che la transizione non è un’utopia per pochi, ma una realtà consolidata. Sorprendentemente, anche nazioni con un PIL pro capite inferiore al nostro, come il Portogallo, mostrano tassi di adozione delle BEV significativamente più alti, a dimostrazione che il problema non è unicamente legato al potere d’acquisto.
I Freni Strutturali: Oltre il Prezzo d’Acquisto
Se fino a qualche anno fa il prezzo d’acquisto rappresentava la barriera principale, oggi il quadro è più complesso e sfaccettato. Sebbene il differenziale di costo con le vetture termiche si stia gradualmente riducendo, altri fattori pesano in modo determinante sulla scelta dei consumatori.
- Costo dell’Energia e dei Costi di Gestione: L’argomento vincente della ricarica a basso costo, che ammortizzava rapidamente il maggior esborso iniziale, ha perso gran parte della sua forza. La crisi energetica e le tensioni geopolitiche hanno fatto lievitare i prezzi dell’energia, erodendo la fiducia dei consumatori e rendendo il vantaggio economico meno evidente, soprattutto per chi ricarica alle colonnine pubbliche.
- Infrastruttura di Ricarica: Qui si tocca uno dei nervi più scoperti. Nonostante una crescita del 24% dei punti di ricarica nell’ultimo anno, l’Italia si colloca solo al 16° posto in Europa per capillarità, con 13,6 punti ogni 100 km di rete stradale, ben al di sotto della media continentale di 20,4. Manca soprattutto una rete capillare di ricarica ad alta potenza (HPC – High Power Charging) lungo le autostrade e le grandi arterie. Senza la possibilità di effettuare un “pieno” in 10-20 minuti, l’auto elettrica resta percepita come un veicolo per uso prevalentemente urbano, una seconda auto di famiglia, inadatta ai lunghi viaggi a cui l’automobilista italiano è abituato.
- Autonomia Reale e “Range Anxiety”: La cosiddetta “ansia da autonomia” rimane un deterrente psicologico potente, alimentato da una comunicazione non sempre trasparente e da una conoscenza ancora superficiale della tecnologia. La percezione di un’autonomia insufficiente, unita alla carenza di infrastrutture, crea un circolo vizioso che scoraggia l’acquisto.
Il Nodo cruciale della Fiscalità Aziendale
Un elemento che più di altri distingue in negativo l’Italia dal resto d’Europa è il trattamento fiscale riservato alle auto aziendali. Le flotte aziendali sono universalmente riconosciute come il principale motore per l’introduzione di nuove tecnologie nel parco circolante. Grazie a una rotazione più rapida (in media 3-4 anni contro i 10-12 di un privato), i veicoli aziendali alimentano un mercato dell’usato di qualità, rendendo accessibili tecnologie moderne, sicure e a basse emissioni a una platea più vasta di consumatori.
In Italia, questo volano è inceppato. Il sistema fiscale attuale è fortemente penalizzante, con limiti stringenti sulla deducibilità dei costi, sulla detraibilità dell’IVA e sui tempi di ammortamento. Questo non solo grava sui bilanci delle imprese italiane, rendendole meno competitive rispetto alle concorrenti europee, ma rallenta di fatto l’intero processo di svecchiamento e decarbonizzazione del parco auto. UNRAE ha avanzato una proposta di revisione della fiscalità in chiave “green” che, secondo le stime, avrebbe un costo netto contenuto per l’erario (circa 85 milioni di euro) e potrebbe innescare un circolo virtuoso di rinnovamento del mercato.
La Strada da Percorrere: un Appello alla Coerenza
L’analisi di Cardinali si conclude con un appello alla politica per un’azione coordinata e coerente. Non basta un singolo intervento, ma serve una strategia organica che agisca simultaneamente su più fronti:
- Riforma Fiscale: Allineare la fiscalità delle auto aziendali agli standard europei per stimolare la domanda e accelerare il ricambio del parco circolante.
- Potenziamento Infrastrutturale: Investire massicciamente in una rete di ricarica pubblica capillare e, soprattutto, ad alta potenza, per eliminare l’ansia da autonomia e rendere l’auto elettrica una valida alternativa anche per gli spostamenti extraurbani.
- Sostegno ai Costi di Utilizzo: Intervenire per rendere i costi di ricarica più accessibili e stabili, ripristinando la convenienza economica che ha inizialmente spinto il mercato.
- Comunicazione e Cultura: Promuovere una corretta informazione per superare le barriere culturali e la diffidenza verso una tecnologia che, per molti, è ancora sconosciuta.
Senza un cambio di passo deciso, il rischio è che l’Italia non solo manchi gli obiettivi di decarbonizzazione imposti dall’Europa, ma che la mobilità elettrica rimanga un lusso per pochi, una “promessa incompiuta” che lascia il Paese a guardare da lontano un futuro che è già presente altrove.
