ROMA – Vedono il mondo come un “luogo spaventoso”, sono profondamente pessimisti sulla loro capacità di incidere sul futuro e mostrano un atteggiamento sempre più cinico. Non è un semplice luogo comune, ma la fotografia a tinte fosche della Generazione Z, i cosiddetti nativi digitali nati tra il 1997 e il 2012, che emerge da un’importante ricerca condotta negli Stati Uniti. Lo studio, intitolato “Gen Z Risk Perceptions: Crisis, Risk and Hope”, è stato diretto da Gabriel Rubin, studioso di Giustizia e Diritti Umani presso la Montclair State University nel New Jersey, e i suoi risultati sono stati presentati alla conferenza annuale della Società Americana per l’Analisi del Rischio (SRA). Attraverso 104 interviste approfondite con giovani residenti nel Nord-Est degli USA, la ricerca svela un cambiamento di prospettiva allarmante che sta definendo l’intera generazione.
Un “preoccupante cambiamento”: dall’ottimismo alla disillusione
Ciò che colpisce maggiormente dall’analisi del professor Rubin è la rapida evoluzione del sentire comune di questi giovani. Quando la ricerca ha preso il via, nell’autunno del 2022, le conversazioni erano ancora venate di un certo ottimismo. Tuttavia, con il passare del tempo, questo spiraglio di fiducia si è rapidamente chiuso, lasciando spazio a un pessimismo dilagante. “Le opinioni della Generazione Z stanno cambiando e c’è la sensazione generale che apportare cambiamenti sia difficile”, ha osservato Rubin. Questa disillusione non è astratta, ma si nutre di paure concrete: il timore di perdere i propri diritti, l’ansia per la criminalità, le discriminazioni e le continue sparatorie nelle scuole. Il mondo, ai loro occhi, appare più rischioso quando si ha la sensazione di avere scarso controllo sugli esiti.
L’eco del lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19 ha giocato un ruolo cruciale in questo processo, amplificando il senso di isolamento e incertezza e consolidando un cinismo profondo, soprattutto riguardo alla possibilità di poter realmente cambiare il mondo. Questo si traduce in una visione negativa del futuro, dove problemi esistenziali come il cambiamento climatico appaiono come montagne insormontabili, prive di soluzioni a breve termine.
La percezione del rischio: un mondo in bianco e nero
Dal punto di vista dell’analisi del rischio, la mia specializzazione, emerge un dato di una lucidità quasi brutale. La Generazione Z, secondo lo studio, tende a percepire il rischio in modo binario, senza sfumature. Una situazione o è sicura o è pericolosa. Manca, come osserva Rubin, la capacità di comprendere che il rischio esiste all’interno di uno spettro di possibilità che possono essere valutate, pesate e gestite. Questa visione dicotomica, quasi manichea, porta i giovani a “percepire il rischio ovunque si girino”, trasformando il mondo in un campo minato.
È un paradosso quasi fisico: nonostante le analisi dimostrino che viviamo in una delle epoche storicamente più sicure, la percezione soggettiva di questa generazione è diametralmente opposta. Questo scollamento è alimentato da un flusso costante di informazioni, spesso allarmistiche, veicolate dai social media, che amplificano a dismisura il livello di minaccia percepito. Il risultato è un aumento di ansia, depressione e, nei casi più gravi, pensieri suicidi, con un impatto particolarmente severo sulle giovani donne.
Le paure concrete e il divario di genere
Le minacce percepite dalla Generazione Z sono un mix complesso di ansie personali e globali. Tra le principali fonti di preoccupazione identificate dalla ricerca troviamo:
- Social Media: La grandissima e incessante quantità di informazioni e il confronto sociale.
- Diritti e Discriminazione: La paura che i diritti civili e umani possano essere erosi, con un focus particolare sui diritti legati alla maternità e alla riproduzione per le giovani donne.
- Pressioni Economiche: L’inflazione e l’incertezza economica pesano enormemente sulla loro visione del futuro.
- Violenza e Criminalità: La paura delle sparatorie di massa e della criminalità diffusa.
- Cambiamento Climatico: Un’ansia esistenziale per il futuro del pianeta.
È interessante notare, come sottolinea Rubin, un crescente divario di genere nelle preoccupazioni e nell’orientamento politico. Le giovani donne si mostrano più liberali e sono quasi unanimemente preoccupate per l’erosione dei diritti riproduttivi, un tema quasi mai menzionato spontaneamente dai coetanei maschi, che tendono a posizionarsi su fronti più conservatori.
Una crisi interna prima che esterna
La conclusione forse più profonda dello studio è che la percezione del rischio e il malessere che ne deriva non sono tanto una reazione a difficoltà esterne concrete, quanto piuttosto il frutto di una percezione interna. Non si tratta, come un’analisi superficiale potrebbe suggerire, di una generazione “troppo coccolata o sensibile”. Al contrario, i giovani si trovano ad affrontare pressioni enormi e preoccupazioni quotidiane che, combinate, dipingono l’immagine di un mondo pericoloso e ostile. La sensazione di impotenza di fronte a sistemi percepiti come immutabili, come quello bipartitico americano, alimenta ulteriormente questo senso di sfiducia. Eppure, in questo quadro cupo, Rubin intravede ancora una speranza: “Sono giovani, sono un gruppo in evoluzione… stanno imparando la resilienza”. La consapevolezza che i grandi cambiamenti richiedono tempo, come la lotta per i diritti civili ha insegnato, potrebbe essere la chiave per trasformare il cinismo in un nuovo, più maturo, motore per l’azione.
